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 2- Il buffet

Hermione era senza parole. Sentiva di avere la faccia congelata in un'espressione da trota , con bocca aperta e occhi spalancati. Il suo cervello non sembrava in grado di processare quello che stava succedendo, o meglio, sentiva uno strano senso di irrealtà, come quando nei sogni ti rendi improvvisamente conto che il cielo non dovrebbe essere verde, ma quello è ancora lì, a sbeffeggiare il tuo inconscio con la sua assurdità.

E poi, lentamente, gli ingranaggi cominciarono a muoversi, i tasselli ad andare al loro posto. Si era sempre considerata una persona logica, era sempre stata fiera della propria capacità di razionalizzare, risolvere gli straordinari puzzle che le si presentavano davanti, unire i puntini fino ad avere l'immagine intera.

Anche quella situazione non era da meno.

Malfoy era arrivato in modo inaspettato e improvviso, così come tutti gli altri ospiti da quella mattina, a partire dai signori Weasley fino ad arrivare a Bonky l'elfo domestico.

click

Alcuni degli ospiti sembravano sapere del (presunto) matrimonio già al loro arrivo, e anche se non aveva parlato con tutti i presenti sembrava che questo si applicasse almeno alla famiglia Weasley. Tranne che a Ron.

click

Ron, come Malfoy, era stato colto di sopresa dall'evento. Cos'altro c'era in comune tra i due?

L'ultima frase pronunciata dal suo interlocutore sembrava rimbombare nello spazio vuoto e silenzioso che si erano ritagliati, espanso in quei pochi istanti di intenso ragionamento. Hermione sentì che stava iniziando a sudare, e il cuore le batteva tanto forte in petto che le sembrava di sentirlo martellare nelle orecchie; le pareva che i battiti risuonassero ancora più sonoramente del ticchettare del grosso orologio a pendolo che troneggiava poco distante, avvertendola di qualcosa a cui il suo cervello non era ancora arrivata.

La tua lettera, Granger. I… ricordi. Li ho visti.

La lettera. I ricordi. I ricordi?

"Oh no" sfiatò, sentendo di star iniziando a iperventilare. Chiuse la bocca di scatto, trattenendo il respiro, perché l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era un attacco di panico. I suoi pensiero stavano andando in ogni direzione, cercando di prevedere l'imprevedibile, agitandosi come i pesci in un acquario disturbato dal tamburellare molesto di un bambino capriccioso. Ma chi era, quel bambino?

"Granger..." Malfoy ora sembrava dubbioso, forse perché il silenzio si era protratto un po' troppo a lungo. Hermione valutò che le sembrasse anche vagamente offeso, forse dalla sua reazione. Offeso!

"Shish!" lo zittì, alzando un dito perentorio nell'aria tra di loro "per piacere, solo..."

Sentiva il sudore che iniziava ad addensarsi sulla nuca, mentre una possibilità orribile si faceva strada nella sua mente, senza che riuscisse a fermarla.

Il ricordo che era arrivato a Ron era quello del loro primo bacio. Lei non aveva mai baciato Malfoy. Ovviamente. Ma... beh... santo cielo, cosa poteva aver visto?! Eppure...

"Granger, se sta per prenderti un colpo gradirei saperlo, così posso levare le tende prima ed evitare di essere incolpato anche della tua dipartita"

Le scappò uno sbuffo che somigliava tremendamente a una risata, mentre con una certa fatica ritornava alla realtà, anche se sentiva un gran caldo dal collo in su, il che probabilmente voleva dire che il suo viso aveva l'etereo colore di una barbabietola.

"Gra..." iniziò di nuovo Malfoy, con un tono impaziente e vagamente lamentoso, ma lei lo interruppe di nuovo.

"Ce l'hai?" domandò, riuscendo a malapena a mantenere abbastanza coraggio per guardarlo in faccia. Aveva di nuovo quell'espressione un po' schifata, e nonostante tutto non riusciva a sentirsi troppo indispettita: il cocente, tragico imbarazzo stava coprendo ogni altra emozione.

"Che cosa dovrei avere, per l'amor di Morgana? Granger, per favore, cerca di tornare in te!"

"I ricordi" ringhiò lei, scoprendo con sorpresa che l'imbarazzo si stava finalmente trasformando in rabbia, forse per l'incapacità di sopportane altro "li hai portati o no?"

"Ti sei forse bevuta il cervello? Se-" iniziò di Mr Simpatia personificato, che la guardava con lo stesso calore che avrebbe riservato a un secchio di vermicoli.

"Piantala!" strillò finalmente Hermione, il che gli face chiudere di scatto la bocca come se gli avesse scagliato un silencio "ma insomma, hai idea di- insomma, tu arrivi qui, con quell'aria da principe degli unicorni, come se questa giornata non fosse già allucinante abbastanza, e poi tiri fuori quella... mi dici che... insomma, Malfoy, per una volta in vita tua smettila di pensare che l'intero universo giri intorno al tuo ego! Io sono qui, sono una persona, con dei sentimenti e... e delle reazioni, e se non riesci ad avere un briciolo di empatia per capirlo almeno abbi la decenza di stare zitto!"

Senza che se ne accorgesse era finita ad urlare, a buttare fuori tutta una serie di emozioni stipate che non si era nemmeno resa conto di aver tenuto imbottigliate per anni. Sentiva la gola roca, e anche se il suo sfogo era durato pochi secondi si sentiva ansimante come dopo una maratona.

Si guardarono in faccia per qualche istante, e lei cercò, suo malgrado, di leggere tutto il possibile dal volto dell'altro, ora più pallido e appuntito che mai. Le sue sopracciglia erano aggrottate, e riusciva a intuire che aveva i denti serrati dalla tensione della mascella. Forse le avrebbe urlato contro, forse si sarebbe smaterializzato, forse avrebbe detto una sola frase sprezzante che l'avrebbe tagliata in due come un coltello, ora che (se ne rese conto con orrore) aveva abbassato troppo le sue difese da permettergli di farlo.

"Va bene"

Quelle parole furono come uno schiaffo inaspettato, qualcosa di assurdo e miracoloso, ed Hermione si trovò a trattenere di botto il respiro.

"Va bene cosa?" domandò, con voce atona.

"Va bene, hai ragione. Ho detto quello che dovevo, tu prenditi il tempo che vuoi. Io vado fuori."

E ciò detto, senza neanche aspettare un'altra risposta, Malfoy girò i tacchi e se ne andò, chiudendo con sorprendente delicatezza la porta dietro di sé.

 

Hermione sentì improvvisamente una stanchezza infinita, simile a quella che si prova dopo una battaglia.

Calo di adrenalina le suggerì il suo cervello, razionale come sempre, poco prima che le ginocchia le cedessero.

Quando Ginny entrò in casa a passo di marcia, attirata dalle urla di poco prima, la trovò seduta a terra con il volto tra le mani.

"Hermione!" esclamò, con una densa nota di preoccupazione nella voce, crollando al suo fianco, ma quando lei scostò le mani dal viso notò, con suo grande stupore, che sorrideva, con un sorriso così splendente e occhi così luccicanti da farla sentire un'intrusa. "Tutto bene...?" bisbigliò, improvvisamente timorosa di rompere qualcosa di importante.

Hermione annuì, le labbra strette in un sorriso un po' lacrimoso, ma guardandola con un viso così aperto e onesto che Ginny si sentì chiedere, con trasporto "Qualunque cosa ti abbia dato Malfoy, ti prego, passamene un po'!"

Hermione si mise a ridere, scuotendo la testa. Sapeva di essere assolutamente ridicola, di star avendo una reazione spropositata, ma si sentiva... invincibile.

"Mi sei mancata, Ginny" fu la risposta di Hermione, ricevuta da uno sguardo attonito "so di non essere stata una buona amica, di essere sparita nel nulla, ma davvero-"

Non riuscì ad aggiungere altro, perché si ritrovò d'un tratto avvolta in un caldo, strettissimo braccio profumato di fiori, e seppe che non c'era altro da dire.

Rimasero così per qualche minuto, ma quando si staccarono Hermione vide che Ginny aveva gli occhi un p0' rossi. Si trovarono scompigliate, sottosopra e felici, e per un istante fu come se il tempo si fosse riavvolto e fossero di nuovo nella piccola stanza luminosa della Tana, bisbigliando di cose segrete sul pavimento di legno, sotto la finestra.

"Che diamine è successo qui dentro?" fu la nuova domanda di Ginny, che arricciò un po' il naso, formando un buffo grumo di lentiggini.

Hermione ridacchiò.

"L'incredibile, credo. Senti qua: penso che ora io e Malfoy siamo amici"

"Eh?!" l'espressione di Ginny era più schifata che scioccata, e Hermione non poteva darle torto "come diavolo è potuto succedere?"

"Non ne ho idea" fu la sua risposta onesta, data con una piccola scrollata di spalle "ma sai, penso che in realtà non mi importi. A volte le cose hanno un loro modo di aggiustarsi da sole"

"Sembra una frase che avrebbe detto Silente" commentò Ginny, storcendo un po' la bocca.

"Ed è una buona cosa?"

"Non ne ho idea. Harry direbbe di sì, ma lo sai com'è lui, con Silente. Vorrebbe dare anche il suo nome al bambino, ma io ovviamente sto cercando di oppormi"

Si guardarono per un paio di secondi, poi la bocca di Ginny iniziò a tremolare.

"NO!" strillò Hermione, spaventando a morte Grattastinchi, che si era avvicinato facendo le fusa, e ora si allontanò in fretta con la coda sdegnosamente dritta.

"Sì" sogghignò Ginny, con la faccia da volpe "e di secondo nome Severus, riesci a crederci?"

"Ginny! Un bambino?! Oh mio... io... congratulazioni!"

"Oh Hermione, non metterti a piangere..."

"Non... sto piangendo..."

"Dai, se sapevo che ti avrebbe fatto questo effetto non te l'avrei mai detto oggi, non voglio mica rovinarti il matrimonio, Bonky mi ucciderebbe!"

Oh, cavoli, giusto. Il matrimonio. Era ora di affrontare anche questo problema, perché non era intenzionata a immolarsi per gli elfi domestici al punto di sposare Neville Paciock.

"Senti, Ginny, si può sapere da-"

Ma non riuscì a finire la frase, perché la porta di casa si spalancò di nuovo, e nell'ingresso fece la sua apparizione un Ron estremamente trafelato, che fissò per un momento Hermione e Ginny, la prima estremamente lacrimosa, entrambe accasciate a terra come sacchi di patate. Boccheggiò leggermente, con gli occhi spalancati, poi serrò la bocca con un sonoro tlak.

"Io lo ammazzo" affermò, con tono a dire il vero molto calmo, quindi girò i tacchi e sbatté la porta dietro di sé.

Ginny ed Hermione si guardarono, perplesse. Poi, contemporaneamente, fecero due più due e le loro facce si dipinsero di puro, identico orrore.

Ginny fu la prima a balzare in piedi, forse pensando che un brutale omicidio non avrebbe giovato all'atmosfera festiva delle nozze, e si scagliò fuori, seguita a ruota da Hermione.

 

Nel poco tempo che era stata in casa, il panorama esterno era drasticamente cambiato: un nuovo drappello di ospiti era comparso, tra cui riconobbe con orrore molti ex Grifondoro, tra cui una festosa Angelina Johnson, Dean Thomas, Lee Jordan e persino Oliver Baston, e stavano chiacchierando allegramente con in mano dei piattini di carta ricolmi di stuzzichini. Forse grazie alla capacità organizzativa degna di un caporale della Signora Weasley, il grosso tendone argenteo copriva la quasi interezza del giardino, e nel momento che mise piede al suo interno Hermione non poté fare a meno di dimenticare per un istante la sua urgenza e trattenere il fiato.

E' la Sala Grande, pensò, scioccamente, ma non era così lontana dalla verità. Evidentemente qualcuno doveva aver trovato il modo di replicare, almeno in parte, l'incantesimo che trasformava il soffitto della sala in un cielo stellato; in questo caso, però, alzando gli occhi si era come trasportati all'interno del bosco poco distante. I grandi rami degli alberi facevano filtrare la luce splendente del mezzogiorno tra le foglie, creando un'atmosfera fiabesca. Dalla struttura del tendone pendevano grosse lanterne a forma di piante, che fluttuavano a pochi centimetri dal soffitto incantato, ancora spente.

"Hermione!" la rimbrottò Ginny, tirandola per la manica.

"Sì, certo, scusa!" rispose lei, rimproverandosi mentalmente per essersi fatta distrarre. Poco lontano, proprio davanti al tavolo del rinfresco, un piccolo ma inconfondibile gruppetto di teste rosse era assiepato in modo sospetto. Si lanciò immediatamente in quella direzione, già temendo il peggio. Quando lei e Ginny furono abbastanza vicine si trovarono davanti alla stravagante scena di un Malfoy con in mano un canapè al salmone, che osservava con aria pigra un astioso e agitatissimo Ron, intento a puntargli contro un dito in modo minaccioso.

"Ora mi dici che cosa le hai fatto" intimava, ignorando testardamente i tentativi della Signora Weasley di capire cosa diamine stesse succedendo.

"Come al solito la tua capacità di eloquio è sorprendente, Weasley" rispose Malfoy, alzando il naso puntuto in aria e ostentando indifferenza per l'agitazione del proletariato.

Perché doveva essere sempre così insopportabile? Si chiese Hermione, con un moto di sconforto, vedendo che Ron assumeva un'aria riottosa che era tutta un programma. Aprì la bocca per intervenire, ma qualcuno riuscì a batterla sul tempo.

"Diamine, giovanotto, ti impegni proprio tanto a renderti antipatico, eh?"

Tutto il piccolo gruppo fu preso di sorpresa dalla voce bonaria del Signor Weasley, che a quanto pare nessuno aveva notato avvicinarsi con in mano un piattino colmo di stuzzichini. Aveva un vago sorriso e si guardava attorno, completamente indifferente all'atmosfera tesa che regnava.

Anche Malfoy dovette abbandonare un attimo l'espressione colma di spocchia, ed Hermione notò con una certa sorpresa che gli giovava molto. Certo, era ancora pallido e appuntito e impomatato, ma era innegabile che non avere l'aria di chi si è trovato una caccabomba sotto al cuscino frenasse un po' il primario istinto di schiantarlo a vista.

"...si fa quel che si può" fu la risposta, data con una certa cautela, e con grande sorpresa del popolo, il Signor Weasley ridacchiò, scuotendo la testa.

"Papà!" protestò Ron, infuriato "ha fatto piangere Hermione!"

Ma subito si dovette rendere conto di come doveva essere suonato infantile, e infatti sembrò ritrarsi sotto lo sguardo imbufalito della madre.

"Ronald Weasley" sillabò a denti stretti "farai meglio a calmare i bollenti spiriti, oppure..."

"Piangere?" domandò Malfoy, storcendo il naso come se gli avessero detto che le tartine erano farcite di cacca di drago "che stai blaterando, Weasley?"

"Non fare il finto tonto!" borbottò Ron, anche se aveva perso gran parte del suo fervore "l'ho vista io, quindi farai meglio a... a..." ma non sapeva neanche lui cosa avrebbe dovuto fare, d'altronde non era mai stato un granché bravo a gestire le lacrime.

"Oh, per l'amor di Godric e del suo cappello!" intervenne infine Ginny, che probabilmente stava soffrendo per l'imbarazzo indotto "Hermione non stava piangendo per Malfoy."

L'idea, una volta posta in quel modo, sembrava in effetti abbastanza ridicola.

"Ma allora..." balbettò Ron, colto in fallo, e Hermione non poté che provare un esasperato moto di tenerezza nei suoi confronti. Sempre così scemo, sempre così pronto a difendere il suo onore, anche quando era completamente non necessario.

"Ero solo un po' emotiva per... beh... la notizia del bambino" dovette spiegare, intervenendo nel piccolo gruppo, e notando con grande scorno che tutti la guardavano con grande interesse.

"Ooooh!" sospirò la signora Weasley, portandosi una mano al petto con un grande sorriso.

Ron, invece, era impallidito, e Ginny le lanciò un'occhiata di fuoco. Ops. Probabilmente non lo sapevano ancora.

"Cielo... scusate, so che è una cosa improvvisa..." balbettò, cercando di rimediare.

"Ma no, ma no! Siamo solo sorpresi, ma è una splendida notizia, non è vero?" domandò il Signor Weasley, aggiustandosi gli occhiali e scrutando Hermione espressione intenerita.

Lei aggrottò le sopracciglia.

"Sì, certo... quindi, vedete, non c'è motivo di... voglio dire, Malfoy non c'entra nulla" aggiunse, con un certo imbarazzo, lanciando un'occhiata al diretto interessato, che aveva abbandonato l'espressione indifferente e ora la scrutava a sopracciglia aggrottate.

"Oh, cara!" esclamò la signora Weasley, che, non riuscendo più a contenersi, la abbracciò di getto "sono così felice! Ora si spiega... beh, non voglio dire, certo... ma il matrimonio è arrivato così di fretta"

Hermione, travolta dall'abbraccio, sbatté gli occhi confusa. Poi incontrò lo sguardo di Ron, che era pallidissimo e boccheggiava, e sentì la stessa espressione dipingersi sul suo volto prima ancora di capire cosa fosse successo.

"Oh... no! Voglio dire... io... Malfoy..." balbettò, orripilata dal tremendo equivoco, mentre la signora Weasley, sciolto l'abbraccio, le offriva un sorrisino materno e lacrimoso.

"Per piacere, non mettermi ulteriormente in mezzo" disse Malfoy, freddo, con il canapé al salmone che gli pendeva tristemente dalla mano.

"SIGNORINA!" strillò in quel mentre una vocina acuta e decisamente irritata "Bonky è mezz'ora che cerca! Dov'è finita? C'è cano selvaggio in pista!"

Forse sarebbe potuta scoppiare a piangere. A quel punto sarebbe stato comprensibile.

"Un momento, Bonky, devo solo..."

"Non momento, Signorina!" strillò la creaturina "c'è cano a tre gambe! Sposo è sparito, tu viene SUBITO!"

"HO DETTO UN MOMENTO" si trovò a ruggire, pestando un piede a terra, e facendo calare un certo silenzio tra gli astanti. Ginny la guardò con un'aria stranita, mentre avrebbe potuto giurare che Malfoy stesse trattenendosi dal ridere.

"Signorina" la interpellò Bonky, sussiegoso "lei non urla così a Bonky. Bonky è lavoratore pagato, signorina, non elfo domestico senza vestiti."

Hermione lo guardò come se le avesse appena scagliato un petrificus totalus. Sentì distintamente Ron ridacchiare, e gli lanciò un'occhiata di fuoco.

"Senti, Bonky, io..." iniziò, cercando di racimolare i pochi brandelli di pazienza che ancora le restavano.

"BONKY E' UN ELFO LIBERO" strillò la creaturina, sovrastando il suo vano tentativo di portare del senso a quella giornata "Bonky lotta per i suoi diritti e c'è legge che protegge Bonky, e lei.. lei..."

Con sommo orrore di Hermione, gli enormi occhi marroni di bonky si riempirono di calde lacrime, e il suo labbro inferiore iniziò a tremare.

Hermione si sentì come un vermicolo nudo nella nuda terra, e si fece piccola piccola davanti allo sguardo liquido e coraggioso dell'elfo, che la fronteggiava con evidente dignità.

"Lei fa fare a Bonky il suo lavoro. Perché Bonky se lo merita, signorina"

"Ah" commentò una voce beffarda alle sue spalle "voglio proprio vederti replicare, ora".

Ignorò platealmente la parole di Malfoy, odiando a morte l'idea che avesse ragione. Sconfitta e umiliata, abbassò la testa verso Bonky, che esibiva un'aria coraggiosa, e si rese conto che lo odiava a morte. Insomma, le era concesso odiare un elfo domestico, no?

"D'accordo" gli rispose a denti stretti "va bene. Andiamo a... dove ti pare. Chissenefrega" si rendeva conto di dover avere un'aria folle, ma a quel punto aveva importanza?

Le sue parole sembrarono far ritrovare il buonumore all'infida creatura, che improvvisamente le rivolse un sorrisone smagliante e raddrizzò la schiena.

Maledetto, viscido, infingardo... lo apostrofò nella sua testa, mentre lui le faceva cenno di seguirla verso la fine del padiglione.

"Infilzata dalla tua stessa spada, eh Granger?" la apostrofò Malfoy, che sembrava aver ritrovato il buonumore. Con suo grande stupore, sentì Ginny sghignazzare a quelle parole, ma non si voltò a guardare.

"Scommetto che ti sta simpatico, eh, Malfoy?" domandò quest'ultima, con tono allusivo.

"Sai, Weasley, devo proprio dire di sì" fu l'ultima risposta che sentì, in una straordinaria sfumatura autoironica, prima di venir definitivamente rapita dall'elfo domestico in frac, che la trascinò dall'altra parte del giardino, dove troneggiava un piccolo palco argentato, e al suo centro, un orrendo cagnetto spelacchiato intento a masticare di gran lena una grossa coscia di pollo.

 

Il palco era sistemato proprio di fronte alla casa, all'imbocco del piccolo sentiero in terra battuta che portava alla serra. Gli operai si muovevano, efficienti e veloci, ad allestire tutto intorno i tavolini rotondi e le sedie, il cui numero allarmò lievemente Hermione. Quante persone ancora si sarebbero presentate, quel giorno?

"Signorina fa qualcosa!" sibilò Bonky, indicando con il lungo ditino sottile il peloso occupante del palco, intento a rosicchiare con fervore l'osso "cano ladro ruba dal buffet, signorina!"

Vedere la faccina dell'elfo raggrinzita dalla rabbia e dal disappunto risollevò momentaneamente il morale di Hermione.

"Suvvia, Bonky, si sta solo divertendo, no?" rispose, guardandosi comunque attorno, un po' perplessa. Da dove poteva essere sbucato quel cane? "Sai se è arrivato con qualcuno?" domandò poi.

"Bonky non sa!" rispose l'elfo, scrutando con sospetto l'animale "Bonky sperava che Signorina sapesse. Se cano non è di nessuno Bonky lo scaccia senza esitare!"

Aveva le dita pronte a schioccare e gli occhi pieni di feroce determinazione.

"Certo che no!" esclamò Hermione, indignata "penso che l'unica cosa da fare sia controllare chiedendo a tutti"

Con un po' di fortuna sarebbe riuscita a scrollarsi di dosso Bonky per il tempo necessario a capire dove si fossero cacciati i tre clamorosi assenti dell'ultima mezz'ora, e magari riuscire a respirare un momento per chiarire cosa diamine stesse succedendo. Valutò che la cosa migliore, in quel momento, fosse assecondare la follia.

"Posso contare sulla tua discrezione, Bonky? Non vogliamo certo mettere in imbarazzo i nostri ospiti."

L'elfo gonfiò immediatamente il petto facendo sporgere il papillon, e abbozzò un perfetto saluto militare.

"Signorina conta su Bonky, scoverà il padrone prima di subito"

E detto ciò, con un sonoro crack si smaterializzò, presumibilmente per andare a tampinare il primo sventurato della lista.

Hermione si concesse di sospirare un momento, ma fece l'errore di guardarsi attorno, il che inevitabilmente portò a incrociare lo sguardo con alcuni nuovi arrivati. Fece un sorriso stiracchiato verso un mago col cappello a cilindro che non conosceva, ma che le rivolse un gran sorriso e alzò un calice nella sua direzione. Lei rispose con un cenno della mano esitante, a cui rispose, con un sonoro "Ehy, Hermione!" la voce brillante di Lee Jordan, che le si avvicinò, seguito da Angelina Johnson.

"Congratulazioni" le disse quest'ultima, con un gran sorriso cordiale.

"Ehm... grazie" rispose Hermione.

In quel momento capì che era fregata: a quel punto ciò che le premeva più di tutto era scoprire l'origine di quello strano chaos, e più andava avanti più aveva idea che tutto fosse collegato in uno strano modo che ancora le sfuggiva. Recitare la sua parte avrebbe reso molto più facile arrivare alla soluzione. Quindi si sforzò di fare un bel sorriso.

"Sono contenta che siate riusciti a farcela... l'invito è arrivato per tempo, spero" aggiunse, provando a tastare il terreno.

"Per tempo? Beh, diciamo di sì" ridacchiò Lee "abbastanza inaspettato però. A proposito, non siamo ancora riusciti a parlare con Neville"

"Immagino sarete impegnatissimi, organizzando tutto così in fretta" commentò Angelina, piacevolmente "sembra tutto funzionare bene, anche se il wedding planner..." ridacchiò, alzando gli occhi al cielo.

Hermione ci mise pochissimo ad arruffare le penne.

"Il wedding planner?" domandò, con pericolosa educazione, ma nessuno dei due parve cogliere il segnale.

"Beh, un elfo domestico, andiamo... solo tu potevi avere un'idea simile" disse Lee, abbassando la voce.

"Veramente" disse Hermione, improvvisamente fredda "non sono stata io ad assumere Bonky, ed è estremamente competente"

"Ma sì, certo, non volevamo dire..." si affretto a rettificare Angelina, con aria ansiosa.

"Ora scusatemi, ma devo andare a cercare il mio futuro marito" disse Hermione "vi suggerisco di provare i canapè al salmone, Draco pensa che siano deliziosi"

E detto ciò, girò i tacchi e si allontanò, livida.

"Draco? Non Draco Malfoy?" sussurrò Lee, alle sue spalle.

"Shhh, non hai sentito cos'è successo? Pare che..."

Ma non sentì altro, marciando via a gran passi. Ridicolo! Dopo tutto quel tempo, dopo tutti i suoi sforzi, discorsi di quel genere. Certo, Bonky era un incubo che non avrebbe augurato a nessuno, ma cionondimeno! Le sembrava di essere tornata a scuola, ai tempi in cui sedeva in un angolo a sferruzzare furiosamente, fingendo di non sentire le risatine e ignorando i commenti sottovoce dei suoi compagni (e quelli non poi così s0ttovoce di Ron). Le sembrava di aver fatto tanti passi avanti, da allora, ma a volte le sembrava di vivere nella sua bolla, e che i suoi progressi esistessero solo all'interno di essa.

Senza quasi accorgersene aveva seguito il sentiero, allontanandosi dai rumori della festa per inoltrarsi nel giardino, costeggiando le mura della casa fino ad arrivare sul retro, dove svettava la piccola serra di Neville.

Quel momento di solitudine, in un luogo protetto e familiare, le fece istantaneamente rilassare le spalle e rallentare il respiro.

Ovviamente. Dove altro poteva essere sparito, se non lì? Era stata così concentrata nei suoi drammi che non aveva minimamente pensato che Neville doveva star provando tutto ciò che provava lei, o forse anche di più, dato che quella era la sua casa.

Si avvicinò ancora un po', cercando di spiare oltre i vetri per vedere se Neville si trovasse davvero lì, ma le grosse felci bluastre coprivano la visuale, così non le restò che aprire la porta e spiare all'interno.

Neville era lì, chino sul grande tavolo di legno, ma non era solo. Insieme a lui c'erano entrambi i gemelli Weasley. George, in piedi di fianco a lui, aveva l'aria preoccupata, teneva una mano sulla bocca, pensieroso, e batteva col piede a terra.

Fred era mezzo disteso sul tavolo, sul volto un sorriso un po' sofferente, la veste appallottolata sotto i gomiti.

"Ti dirò, Neville, se la carriera come professore non dovesse decollare dovresti chiedere il posto di Madama Chips. Le sue mani non sono mai state tanto delicate!"

Disse con voce allegra, ma a Hermione sembrò che mascherasse un po' di tensione. Si vergognò immediatamente di star origliando, ma quella era forse la prima volta da mesi in cui poteva sincerarsi dello stato di Fred. Arrossì un po', ma si sporse appena di più per vedere meglio.

"Piantala di scherzare" disse Neville, con tono deciso.

"Mai" risposero in coro i gemelli, quasi automaticamente, anche se George ostentava ancora la stessa aria preoccupata.

"Come va?" domandò a Neville, facendo saettare lo sguardo dal suo viso alle gambe del fratello, che alzò gli occhi al cielo.

"Suvvia, Georgie, mi sembri Percy! Non c'è nulla che..."

"Non dovresti esagerare, Fred" rispose Neville, chiudendo un barattolo di unguento che Hermione riconobbe subito come dittamo.

"In che modo avrei esagerato?" rispose Fred, con aria offesa "avrò fatto sì e no tre passi!"

"...per rincorrere un cane randagio fino a sotto il tavolo del buffet" aggiunse George, con un atteggiamento che ricordava molto quello del Signor Weasley.

Fred sbuffò sonoramente.

"Mi ha provocato, va bene! Scommetto dieci galeoni che si tratta di uno scherzo di Malfoy"

"Di Malfoy?" domandò Neville, sorpreso "che c'entra Malfoy?"

"Ma dai, l'ultima volta che qualcuno mi ha squadrato così a fondo l'ho dovuto portare a cena fuori" rispose Fred, beffardo, a malapena mascherando un po' di amarezza nella voce.

"Figurati se Malfoy ha il senso dell'umorismo per fare un collegamento del genere" commentò George, scettico

"Non penso che Malfoy sia un problema" commentò Neville, sottovoce. Entrambi lo guardarono con evidente stupore "Hermione l'ha invitato qui, quindi possiamo dargli il beneficio del dubbio. Se non ci fidiamo del giudizio di Hermione, non possiamo fidarci più di nulla, no?"

George lanciò un'occhiata di sbieco a Fred, che sembrava essersi improvvisamente rabbuiato.

"Immagino di sì" rispose George, con una scrollata di spalle.

"Devo tornare di là" sospirò quindi Neville, scuotendo la testa "anche se devo dire che non vedo l'ora di vedere come andrà a finire. Spero solo di non dovermi davvero sposare entro notte, la nonna mi ucciderebbe"

Lanciò quindi un'occhiata a Fred, che ora guardava con ostentato interesse una piccola pianta rosa e bulbosa.

"Davvero, Fred... sei troppo testardo. Nessuno ti giudicherebbe se ti prendessi una pausa. Non sei un bolide umano."

Fred mise su un'espressione testarda, immediatamente specchiata da George, che però annuì.

Capendo che Neville stava per uscire, Hermione si buttò in mezzo alle felci, nascondendosi come una ladra. Aspettò che i suoi passi si fossero allontanati, prima di azzardarsi a far sporgere di nuovo la testa oltre le foglie.

Fu accolta dallo sguardo malandrino di George, che la squadrò con un sorriso saputo, beccata in flagrante.

"Io-" inziò a giustificarsi Hermione, ma lui la interruppe poggiandosi un dito davanti alla bocca e facendo l'occhiolino.

"Devo andare da Angelina" disse George ad alta voce "tu vedi di non toglierti quell'impiastro di dosso, anche se puzza come il ghoul della Tana"

Gli arrivò un proiettile di vesti appallottolate dritto sul naso, ma questo non gli impedì di ridere, per poi fare un cenno complice a Hermione, ancora basita in mezzo alle piante.

Rispedì indietro il colpo, e poi si allontanò fischiettando, svagato.

Hermione sentiva di nuovo la tachicardia martellare come un rullo di tamburo nelle orecchie e il respiro corto. Per qualche ragione, si sentiva avvolta da un'improvvisa timidezza.

Il giardino sul retro era piccolo e appartato, e il caos della festa risultava attutito. In quel silenzio si potevano sentire i lievi suoni del sottobosco: il vento che muoveva le foglie del pioppo facendo cadere piano grossi fiocchi di polline bianco; il cicaleggio delle gazze, allegro e chiassoso, forse disturbato dagli strani rumori portati dalla nuova folla di ospiti; il ronzio pigro di un insetto, intento ad aleggiare sulla cresta delle enormi peonie stalattiti, attirato dal profumo invitante di pane emanato dai petali appena schiusi.

Fred si mosse un po', con un mugugno, e Hermione rizzò le orecchie, incuriosita. Lo sentì sospirare profondamente, un suono accorato che non gli avrebbe sentito produrre normalmente, sicuramente non se avesse saputo di essere spiato. Provò un nuovo moto di vergogna a invadere così la sua privacy.

Dovrei tornare di là, pensò tra sé e sé, severa. Ma l'idea di gettarsi di nuovo in pasto a Bonky non le sorrideva affatto, né il dover trovare un modo per spiegare la sua nuova (sigh!) gravidanza. Senza volerlo, si lasciò sfuggire a sua volta un sospiro scoraggiato.

Dalla serra i piccoli rumori si interruppero di colpo, e lei si mise una mano davanti alla bocca, maledicendosi internamente.

"...Hermione?"

La voce di Fred era una specie di mormorio esitante che la mise all'erta. L'aveva vista? Aveva sperato così a lungo di avere sue notizie, negli ultimi mesi, e adesso che poteva avere qualche risposta se ne stava seduta lì col sedere sul terriccio umido, nascosta come una bambina.

"...Sì"

Si sentì rispondere, a mezza v0ce, il che produsse un nuovo, lungo silenzio. Una gazza iniziò a gracchiare vicinissima, al di sopra del gorgogliare invisibile del ruscello.

"Posso entrare?" chiese, con quella nuova e imprevista timidezza che faceva capolino tra le sue parole.

Da dentro si udirono nuovi rumori, come se Fred si stesse dimenando sul tavolo.

"No" rispose Fred, di botto, per poi aggiungere subito "sai, sono in déshabillé, e non vorrei che Neville diventasse geloso"

Hermione lanciò un verso indignato, e sentì Fred sghignazzare alla sua reazione. Che maledetto...!

"Beh, correrò il rischio" annunciò, strisciando fuori dalla sua tana arborea "al massimo se siamo fortunati ti schianterà in preda a un delirio di gelosia, e allora..."

Ma il resto della frase le morì in bocca quando entrò dalla porta.

Il tavolo, di solito ingombro di terra, vasi, strumenti e libri, era stato sgombrato con una certa fretta, che faceva trasparire un'urgenza preoccupante. Lì sopra disteso, con i gomiti puntellati in una posa da bagnante sfaccendato, c'era Fred. Una massa informe di vestiti gli copriva la parte inferiore del corpo, e Hermione considerò che ce li avesse gettati un attimo prima, ma non riuscivano a nascondere completamente le profonde cicatrici violacee, coperte dal denso unguento di dittamo.

"Questa roba puzza come un secchio di cacca di Ippogrifo" disse lui, forse per allentare un po' la tensione "anche se in confronto ai calzini di Ron sembra acqua di rose"

Le labbra di Hermione tremolarono, senza che potesse fermarsi.

"E' la tua punizione per aver saltato le ultime... duecento medicazioni?" rispose, candidamente, appoggiandosi a un enorme vaso contenente un piccolo bulbo verdastro.

"Sono molto offeso che tu mi ritenga un tale scellerato" Fred fu velocissimo ad adeguarsi al suo tono, apparentemente sollevato che la conversazione si stesse svolgendo in modo così leggero "ho continuato ad applicarmi questa melma schifida ogni giorno da solo dimostrando caparbietà e innato eroismo"

"E senza mandare neanche un gufo per vantarti della cosa" ribatté subito Hermione. Il sorriso di Fred si congelò appena sul suo viso, mentre lei incrociava le braccia e faceva vagare un po' lo sguardo per la serra.

"Già, sono un esempio di modestia e virtù" fu la risposta, ma il tono scanzonato cominciava a sfaldarsi appena.

Hermione avrebbe voluto dire tante cose. Cose che le pesavano addosso da mesi, che si erano arricciate come ashwinder nel suo petto, un nido indistricabile e pronto a prendere fuoco. Eppure non voleva distruggere quel piccolo momento di pace. Riportò lo sguardo su Fred, che la stava guardando con attenzione. O era preoccupazione? Gli fece il sorriso migliore che riuscì a trovare, e si avvicinò di qualche passo con un buffo saltello per esorcizzare i sentimenti malinconici che, in quel momento, non voleva proprio provare.

"Un vero martire" approvò, con forzata allegria "forza, fammi vedere che succede, o non potrò essere di nessun aiuto quando ci sarà da scrivere la tua biografia..."

Allungò una mano per sollevare i vestiti depositati sulle sue gambe, ma lui fu velocissimo ad afferrarle i polso.

"Ah, spiacente, ho deciso di seguire l'esempio di Allock e scriverla da solo. Non penso che qualcun altro potrebbe rendere giustizia alle mie gesta" la canzonò, ma una nota dolente e stonata non confermava la leggerezza delle sue parole.

Il cuore di Hermione suonava come un piccolo animaletto in trappola, batteva così forte da sembrare un mormorio, e sentì il sorriso morire lentamente. Fred non la stava proprio guardando, sembrava molto interessato a una ragnatela che pendeva proprio di fianco a loro, quasi invisibile alla luce brillante del primo pomeriggio.

Hermione sentì un moto di insurrezione. Sapeva che si stava comportando male, ma qualcosa di riottoso nel suo petto si sentiva ingiustamente offeso, indignato e ferito. Che fosse il suo orgoglio o qualcosa di più meschino, non lo sapeva, e nemmeno le interessava. Fece uno scatto cercando di afferrare i vestiti con l'altra mano, ma Fred, pure con un moto di sorpresa evidente, le acciuffò pure quella.

"Ah!" sbuffò Hermione, dando voce alla sua frustrazione "ma insomma!"

Lo guardò dritto in faccia, con le sopracciglia aggrottate e la bocca stretta in disapprovazione. Anche lui adesso sembrava più serio, e aveva smesso di ostentare leggerezza. Non le piaceva quello sguardo, era troppo intenso per Fred, e, in qualche modo inspiegabile, le sembrava ancora disonesto.

All'improvviso, senza nessun segnale, la lasciò andare con una piccola spinta, che la fece inciampare leggermente sui suoi piedi, e scoppiò in una risata secca, scuotendo la testa.

Mi prende in giro! pensò, imbufalita. Cercò di lanciarsi ancora nella sua direzione, ma si trovò di nuovo spedita indietro senza troppa fatica.

Stupidi... stupidissimi maschi e i loro stupidissimi muscoli!

Adesso ne aveva abbastanza. Sfilò velocemente la bacchetta dalla tasca, e pensò furiosamente WINGARDIUM LEVIOSA!

Fred ebbe appena il tempo di spalancare la bocca in una muta protesta, che i vestiti si alzarono in aria, rivelando ciò che stava cercando di nascondere.

La rabbia di Hermione si sgonfiò così velocemente che neanche si accorse di star abbassando la bacchetta, lasciando che l'incantesimo svanisse. Fred fu lesto a riprendere i vestiti, ma questa volta si infilò in fretta i pantaloni, lanciandole un'occhiata furiosa.

Hermione capì immediatamente di aver passato il limite. Cosa le era saltato in mente, di violare la sua privacy in quel modo? La vista delle sue gambe, coperte di livide cicatrici violacee, le pulsavano nella retina, impresse. E probabilmente era esattamente ciò che lui stava cercando di evitare.

Stupida, stupida.

"Fred... io..." iniziò, senza sapere esattamente cosa dire, stringendo convulsamente la bacchetta tra le mani. Lui ora non la stava guardando, ma aveva un'espressione ostinata mentre si riagganciava la protesi magica, e non le rispose.

Lei fece di nuovo un passo avanti, con esitazione.

"Fred, mi disp-"

"Non hai fatto nulla di male" rispose, con una strana voce pacata che non le piacque per niente. Sentiva gli occhi che le pizzicavano, ma fece del suo meglio per trattenersi. Non sapeva cosa dire, sentiva le parole frullarle nella testa come api.

"Ho esagerato" gli rispose, e sentì di avere la voce un po' tremula. Si odiò, per questo.

Le spalle di Fred si tesero un po', ma continuò a non risponderle. Le api nella sua testa cominciarono a pungere.

"Io... volevo solo sapere come stai. Sono mesi che non ci parli, e non sapevo più cosa pensare. Ero p-preoccupata" strinse di nuovo le labbra, pentendosi subito di star trasformando le sue scuse in una fiera dell'autocommiserazione. Si strofinò velocemente gli occhi, cercando di impedire alle lacrime di uscire fuori, ma quando li riaprì Fred era in piedi di fronte a lei, e sfoggiava un sorrisetto tiepido.

"Non hai nulla di cui preoccuparti. Sono in ottime mani" le rispose, mostrando comicamente i palmi alzati e facendo vibrare le dita. Questo le provocò una piccola risatina. Senza neanche pensarci, si avvicinò del passo che li separava, e gli appoggiò la fronte sul petto. E, con sua grande sorpresa, sentì le sue mani poggiarsi sulle spalle.

Mi sei mancato.

Pensò, sottovoce, sapendo che non avrebbe mai potuto confessarlo a cuore aperto come aveva fatto con Ginny.

Da qualche parte, in quell'ultimo strano, lungo anno, la sua presenza era diventata un conforto, avevano riso insieme quando avevano entrambi il cuore pesante, condiviso lunghe nottate a parlare di niente, e senza che se ne accorgesse la sua presenza era diventata così naturale da lasciare un vuoto doloroso quando era mancata. Strofinò ancora un po' la fronte sulla sua maglia, un contatto nuovo e un po' strano, ma non imbarazzante come avrebbe pensato.

Le sue mani sulle spalle erano simili a un'abbraccio che non la stringeva, ma la ancorava a terra.

"Non sparire di nuovo, va bene?" disse, con tono allegro, nascondendosi dietro a un dito insieme a tutti i suoi pensieri.

"Va bene" rispose lui.

D'impulso, Hermione alzò la testa per guardarlo in faccia, timorosa di vedere un'espressione scherzosa a nascondere le sue intenzioni, ma il sorriso di Fred era onesto e semplice, fin troppo facile da imitare.

 

Si era quasi dimenticata di ciò che la aspettava nel giardino di fronte, assorbita com'era dal piccolo bozzolo silenzioso della serra, ma fu riportata bruscamente alla realtà da un botto tanto forte da far tremare i vetri intorno a lei.

"Ma che diavolo...?" domandò, scostandosi da Fred per correre in direzione della porta. Lui la seguì con passo indolente, in apparenza per nulla preoccupato.

Dal guardino provenivano voci concitate, e dopo qualche istante un altro botto, anche se più piccolo, diede a Hermione la spinta necessaria ad accelerare il passo.

Quando superò la fiancata della casa e arrivò al tendone, trovò una strana scena ad accoglierla: un lato del tendone era collassato, e un Hagrid sopraffatto dall'imbarazzo stava urlando scuse a chiunque si trovasse in un raggio utile a sentirle. Doveva essere appena arrivato, ma questo non impediva a Bonky di saltellare davanti a lui, strepitando epiteti intellegibili con la sua vocetta acuta. Poco lontano da lei, Draco Malfoy aveva in braccio il temibile cane tripode, e lo guardava con visibile sconcerto e schifo. In tutto ciò, un paio di operai vestiti d'argento stavano facendo levitare un'enorme, mostruosa statua di ghiaccio raffigurante un panciuto cupido con tanto di freccia.

"Wow" disse Fred, con un breve fischio.

"Wow un accidenti" disse Hermione con voce soffocata, cercando con lo sguardo Neville: lo scovò vicino al tavolo delle vivande, intento a consolare un Ron dall'aria funerea. Non avendo nessuna intenzione di avvicinarsi, puntò verso Hagrid, ma fu fermata dal braccio di Fred, parato davanti a lei.

"Vado io" le disse, con un occhiolino "se Hagrid ti vede adesso inizierà a piangere come una fontana, garantito"

E detto ciò si avviò nella direzione dell'allegra coppia. Hermione lo guardò allontanarsi, stupita di quell'improvviso spirito altruista. George, nel frattempo, si era lanciato in aiuto degli operai, bilanciando un assai precario wingardium leviosa in modo da evitare la truculenta morte di qualche invitato per mezzo della freccia di Cupido. Hermione notò che, in effetti, tale freccia puntava proprio nella sua direzione, e si affrettò a fare un passo indietro, con una certa ansia.

Nel farlo, andò quasi a sbattere contro Malfoy, che sembrava star cercando di defilarsi dal centro dell'attenzione. Lei lo guardò per un secondo, sbattendo le palpebre, perplessa dall'allegra e sbavosa bracciata di canide che teneva a mo' di donzella.

"Ehm. Puoi spiegare?" chiese, con genuina curiosità. Lui alzò il naso per aria nella sua migliore performance di nobile alterigia, che fu giusto un pelino rovinata dal fatto che la bestia stesse cercando freneticamente di leccargli le orecchie.

"E' il mio cane e ci faccio ciò che voglio, Granger" rispose, riuscendo a vendere anche abbastanza bene il tono arrogante e vagamente annoiato di chi sta spiegando una palese ovvietà.

"...Il tuo cane" sillabò Hermione, incredula. Quelle erano tre parole che non pensava avrebbe mai associato a Malfoy.

"Così pare" fu la risposta perentoria, mentre un'idea di ciò che poteva essere avvenuto iniziava a farsi strada nella mente di Hermione, che fece del suo meglio per mantenere una certa serietà.

"Ah. E posso sapere il suo nome?" domandò educatamente. Malfoy sembrò essere stato preso in contropiede, e aprì la bocca per dirle di farsi gli affari suoi (o almeno, la sua faccia aveva esternato già da sola il concetto molto chiaramente), ma la richiuse subito, assumendo un'espressione di marmo.

Hermione si concentrò al massimo per non scoppiare a ridere. Miseriaccia, possibile che stesse iniziando a trovare piacevole la compagnia di Malfoy? Il mondo era forse impazzito?

"Balthazar" rispose quindi l'altro, con una serietà sospetta. La stava prendendo in giro?

Hermione fissò il botolo bavoso e ruvido che riposava felice tra le braccia del suo (supposto) padrone. Aveva un orecchio storto, il muso troppo corto rispetto alla testa, una coda sottile e comicamente arricciata da una parte, e gli mancava una zampa. Era la cosa meno Balthazar che Hermione avesse mai visto in vita sua.

"Bel nome" commentò comunque, tendendo al massimo gli addominali per evitare di scoppiargli a ridere in faccia. "E c'è un motivo in particolare per cui lo stai cullando...?"

"Il tuo elfo domestico si era fatto delle strane idee" rispose lui, mentre lenta ma inesorabile la sua caratteristica espressione da che schifo iniziava a farsi nuovamente strada sui suoi lineamenti "pare che volesse trasformarlo in uno scendiletto"

Hermione dovette far ricorso a tutta la sua forza interiore per trattenersi ulteriormente.

"Bonky non è il mio elfo domestico" lo corresse quindi, un po' indispettita dalla scelta di parole.

"E meno male" fu la risposta di Malfoy, che sembrava non provare più tanta simpatia per l'esserino. Cosa poteva essere successo nell'ultima mezz'ora?

Ora che lo notava, comunque, sembrava essere calato uno strano silenzio tra gli astanti. Si voltò verso il gruppo più vicino, che guardava un punto tra gli alberi, poco lontano, bisbigliando in modo concitato. Hermione strizzò gli occhi, cercando di capire quale fosse la causa del clamore. Una figura alta e scura era immersa tra le ombre dei pioppi, e insieme a lei c'era Neville, con l'aria tesa e preoccupata.

"Che ci fa lui qui?" chiese Malfoy, facendo comicamente eco alle parole pronunciate da Fred e Ron al suo arrivo.

"Lui chi?" domandò Hermione, confusa.

"Sei diventata cieca, Granger?" ribatté Draco, con la sua solita voce sprezzante "se non riconosci neanche più Piton sarà il caso che ti metta degli occhiali."

Hermione rabbrividì appena sotto il sole di mezzogiorno. Ecco una persona che mai, mai avrebbe voluto incontrare lì, nella piccola oasi di pace del cottage, lontana dai problemi e i dolori del mondo e del passato. E Neville doveva pensarla esattamente come lei.

Oh, Neville, pensò, preoccupata, guardandolo fronteggiare a capo ben dritto, nella placida aria estiva, la persona che più aveva detestato in tutta la sua vita.

Balthazar ansimava contento tra le braccia del suo padrone, e Hermione si chiese, per l'ennesima volta quel giorno, cosa mai potesse ancora succedere.

flawbows: (Default)

I’m not going to panic because I don’t do that anymore. It’s going to be okay.

[A Ela, senza cui non ci sarebbe questa storia, non sarebbe neanche un'idea, non ci sarebbero splendide serate di romcom e follia, e non ci sarebbe una marea di affetto. Grazie per tutto <3 e andiamo avanti!]

Il Cottage

 

Il piccolo cottage sorgeva poco prima della metà di una soleggiata collina circondata dal verde, sulla quale arrancavano una coppia di maghi di mezza età, strizzando gli occhi nel tentativo di scorgere meglio il punto di arrivo. Avevano con loro grosse valige dall’aria molto pesante, che fluttuavano docili alle loro spalle, accompagnandoli per la salita.

Alla destra della collina un piccolo bosco di faggi offriva alla casa un riparo sicuro dalla valle sottostante, e una fila di grandi pioppi, lecci e carrubi ombreggiava e copriva da occhi indiscreti le indaffarate attività dei suoi abitanti.

L’appezzamento di terreno recintato era piccolo e ricoperto di arbusti, dal mirto all’alloro, dall’erica al brugo, e tutta una serie di strani cespugli che frusciavano, schioccavano, ondeggiavano e producevano bizzarri tintinnii.

La casa in sé era modesta, piccola, e il tetto spiovente e affossato, color ardesia, aveva visto tempi migliori. Le mura erano ricoperte di edera, glicine e vite americana, in un tale groviglio multicolore che a stento si riusciva a scorgere l’intonaco bianco sottostante.

Dal giardino, tendendo appena l’orecchio, si intuiva il costante gorgogliare del ruscello che scorreva appena alla sinistra dell’abitazione, quasi completamente nascosto dal muschio e dall’ombra del giardino.

In quel momento, però, nessuno si curava del dolce fruscio del vento tra gli alberi, né del timido cinguettio proveniente dal bosco, o tantomeno questi suoni sarebbero stati udibili al di sopra del furioso tramestio che proveniva dalla finestra aperta proprio sopra al ruscello.

Due voci si facevano udire al di sopra di quel frastuono ed echeggiavano appena tra gli alberi, senza ulteriore pubblico.

“Hermione, ti prego… non è davvero necessario…”

“A questo punto credo proprio che lo sia, Neville”

“Sei un’ospite... non posso lasciarti pulire i miei piatti”

Un sospiro così profondo da suonare come una locomotiva in partenza fu la risposta a quest’affermazione. Chiunque conoscesse la proprietaria avrebbe tranquillamente potuto immaginare la ruga profonda tra le sue sopracciglia.

“E ti ringrazio infinitamente per la tua ospitalità, davvero, non sai quanto l’ho apprezzata”

“Non stavo cercando di dire questo! Sai che questa è casa tua per tutto il tempo che vuoi”

“E allora lasciami lavare i piatti! Insomma, Neville, non possiamo continuare in questo modo”

“In quale modo?”

Un lungo silenzio seguì quella domanda, e non è difficile supporre che fosse accompagnato da un lungo sguardo contemplativo.

“Beh… mi rendo conto che non è proprio ordinato”

“C’è un germoglio di mandragola nella teiera, Neville.”

“Oh, ha germogliato!”

“Non è questo il punto!”

“S-sì, scusa”

Un nuovo, sonoro sospiro. La voce di Neville si addolcì un po’, sfumata di scuse.

“Mi spiace per tutto il disordine, Hermione… so di non essere la persona più ordinata del mondo”

“Non scusarti, ma per piacere, lasciami dare una sistemata. Come favore personale?”

Una lieve risatina fu la risposta.

“Va bene. E comprerò una nuova teiera.”

Gli abitanti del cottage non lo sapevano, ma quella piccola discussione sarebbe stata l’ultimo momento di pace che avrebbero condiviso per un bel po’.

E infatti il mago e la strega avevano finalmente finito la lenta risalita su per la collina, e si approcciavano alla casa, osservando il giardino con qualche parola di allegra approvazione.

Superarono i fruscianti cespugli farfallini, che la donna indicò con un sospiro garrulo, ricordando quelli che aveva piantato di fronte alla sua porta anni prima, in una simile occasione. L’uomo si aggiustò gli occhiali cerchiati di corno, osservando con entusiasmo una grossa, antiquata bicicletta che riposava, un po’ arrugginita, appoggiata ad un grosso pioppo, i cui rami erano saturi di enormi fiocchi bianchi, pronti a iniziare la loro discesa.

E quando infine arrivarono al piccolo, discreto portoncino bianco un po’ scrostato, senza ulteriori preamboli, bussarono.

 

Un laconico miagolio fu la prima cosa che li accolse, simile a un campanello d’allarme, seguito dal grattare di piccoli artigli sulla porta.

“Grattastinchi, no! Cattivo!” si sentì sgridare, appena prima che la porta si aprisse, rivelando un’Hermione Granger decisamente incuriosita e appena un po’ trafelata.

Erano passati diversi anni dalle sue mirabolanti avventure dell’adolescenza, ma lo sguardo affettuoso della signora Weasley riconosceva solo le somiglianze con la ragazzina tremendamente intelligente, un po’ supponente, ansiosa e arruffata che aveva passato tante estati sotto il suo tetto, e che aveva quasi chiamato sua nuora.

“Signora Weasley!” la accolse Hermione, sconcertata ma apparentemente contenta della sorpresa “e Signor Weasley! Che bello vedervi… qui?” aggiunse, sporgendosi per riconoscere l’altro ospite.

La Signora Weasley si lanciò immediatamente in un caldo abbraccio materno.

“Oh, Hermione! Sapessi che contentezza nel sapere la notizia! Io e Arthur siamo i primi? Hai bisogno di aiuto coi preparativi?”

Ora lo sconcerto di Hermione era completo.

“Ehm. Preparativi?”

Il viso del signor Weasley comparve dietro le spalle della moglie, anche lui con un sorriso, anche se appena più timido.

“Quella è una becicletta, vero Hermione? Ti dispiace se…?”

“Oh, no, cioè sì, faccia pure” rispose lei, appuntandosi mentalmente di fare qualche incantesimo di controllo prima di riprovare a mettersi in sella.

Nel frattempo la signora Weasley sciolse l’abbraccio, guardandola con gli occhi lucidi.

“Naturalmente so che hai tutto sotto controllo, ma… oh cielo, guardami, in questo stato alla mia età! Hermione, io e Arthur abbiamo sempre sperato che… beh, sai, con tutto ciò che è successo con Ron. Ma siamo così felici di vederti rimetterti in piedi, finalmente. Davvero, così felici.”

A sentir nominare Ron, Hermione arrossì penosamente, abbassando appena lo sguardo per non essere costretta a guardare il viso raggiante e materno della Signora Weasley. Si sentì improvvisamente molto, molto stanca e sopraffatta.

Grattastinchi si strusciava con un sonoro ronfare tra gli stinchi di entrambe le donne, dando la sua approvazione ai nuovi venuti.

"Hermione! Chi è arrivato? Ho trovato un'altra... teiera?"

Si sentì la voce di Neville, che arrivò allegramente dalla cucina, portando con sé un'orrenda teiera a forma di knarl. Quando vide la Signora Weasley il suo viso si aprì istantaneamente di un largo sorriso.

"Signora Weasley! Quanto tempo!" la accolse, allegro, lanciando occhiate raggianti a Hermione. Non erano abituati alle visite, lì al cottage, essendo così lontano da... beh, da tutto, a dire il vero “Non rimanga lì sulla soglia, entri, le preparo un tè!”

“Sei davvero un tesoro, caro… Arthur! Santo cielo, lascia stare quella… beh, lasciala stare. Gli altri sono arrivati, caro?”

Neville lanciò un’occhiata interrogativa a Hermione, mentre salutava calorosamente anche il Signor Weasley, e lei gli rispose con una scrollata di spalle appena percettibile.

“Deve arrivare qualcun altro?” Chiese Neville, dubbioso.

L’espressione della signora Weasley si fece, per motivi imperscrutabili, quasi commossa.

“Sei molto caro, ma certo la Signora Paciock… tua nonna, voglio dire...”

Neville sembrava ormai chiaramente all’apice della confusione.

“La nonna? Beh, lei non viaggia più molto a dire il vero”

“Suvvia, Molly!” rimbrottò il signor Weasley, mentre la moglie sembrava colta da un certo imbarazzo “Neville, mi dispiace molto che Augusta non possa esserci, so quanto avrebbe significato per lei. Beh, non è cosa da tutti i giorni veder sposato il proprio unico nipote!” commentò, con una pacca di spalla a Neville e un gran sorriso a Hermione.

Lei sentì la sua faccia che si impietriva. In che senso sposato? Ma soprattutto, per l’amor del cielo, con chi?!

Proprio in quel momento, un tonfo sordo dalla finestra della cucina annunciò l’arrivo di un gigantesco allocco grigio, che sbatacchiava altezzosamente le ali per attirare l’attenzione del piccolo gruppo. Hermione andò automaticamente ad aprire, e si trovò davanti un enorme pacco di un brillante color magenta, decorato da grosso nastro dorato. Stava per prenderlo, quando il gufo le beccò prontamente le mani.

“Ahio!” protestò lei, oltraggiata, prima di notare che a una delle grosse zampe era legato un voluminoso biglietto. Lo slegò con cautela, senza staccare gli occhi dal becco affilato del volatile.

 

Cherubini & Affini
pasticceria artigianale

Gentile cliente, la ringraziamo per il suo ordine e speriamo che sia di suo gradimento.
Non siamo soliti inviare i nostri prodotti per posta, ma speriamo di essere riusciti ad adeguarci alle vostre richieste.
Si prega di firmare la ricevuta del recapito e di rispedirla tramite li stesso gufo.

Torta Impero Monogrammata
Ripieno di albicocche
Glassa canterina alle violette

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Con mani tremanti, Hermione firmò il foglio con una delle tante penne sparse per la cucina, e solo a quel punto le fu consentito di prendere l’enorme (enorme!) pacco e scartarlo con cura.

Al suo interno c’era una delle torte più grosse e assolutamente pacchiane che avesse mai visto, un tripudio di glassa di un viola brillante che sembrava canticchiare la marcia nuziale. Il viaggio non doveva essere stato semplice, visto il volume del pacco, e in alcuni punti era un po’ ammaccata, ma riusciva comunque a leggere perfettamente le enormi lettere dorate: “G & P” seguite da un festoso “viva gli sposi!” circondato da una decorazione a campanelle tintinnanti.

Sbatté un paio di volte gli occhi, poi lentamente un’espressione di orrore si fece strada sul suo viso.

G & P. Granger e Paciock. La coppia d’oro! Ma era solo uno stupido nomigliolo tra di loro! Com’era potuto succedere un disastro simile? E perché coinvolgere i signori Weasley?

A ben pensarci, c’erano un paio di persone che potevano aver ideato questa tremenda pantomima.

Dopo un ultimo sguardo orripilato alla torta corse di nuovo nel piccolo ingresso, che ora era vuoto, mentre un allegro chiacchiericcio proveniva dal salotto. Al suo interno, Neville era tutto intento a fare la parte del buon padrone di casa, offrendo ai signori Weasley biscotti e tè, servito dalla tremenda teiera-knarl.

"Neville caro, non voglio essere inopportuna, ma... ti serve un aiuto per la casa?"

Domandò in modo esitante la Signora Weasley, che evidentemente aveva seguito Hermione con lo sguardo fino all'interno della cucina devastata.

"M-ma no, si figuri, anzi, mi dispiace avervela fatta trovare in questo stato"

"Ma non è assolutamente un disturbo, caro, con tutto quello che hai fatto per Fred…” la sua voce si incrinò appena a quelle parole.

“Non ho fatto nulla, Signora Weasley. Avevo comunque le piante a disposizione, e sono stato contento di ospitare lui e George…”

“Sei così caro, ma... attenzione!" ma era troppo tardi: Neville, sventolando le mani nel tentativo di frenare i suoi materni istinti aveva abbattuto la teiera, versando l'intero contenuto sul piccolo tavolino ingombro.

"Oh per...! Mi scusi, sono desolato, mi dispiace tanto!" una profusione di scuse seguì il piccolo disastro, che si era riversato anche sugli ospiti, sovrapposto a confuse rassicurazioni, finché Hermione, sconfitta dal caos, non propose che entrambi andassero a cambiarsi al piano di sopra, nella stanza degli ospiti.

Il cottage era piuttosto piccolo, ma, come da standard magico, conteneva ben più stanze di quanto fosse immaginabile dalla struttura esterna, e così i signori Weasley sparirono temporaneamente assieme ai loro bauli, mentre loro si prodigavano a pulire, Neville con poco successo, Hermione con poderosi colpi di bacchetta.

"Che situazione bizzarra" commentò Neville, condendo l'eufemismo del secolo con una pacata risatina.

"Per non dire altro! Ah, se becco Fred e George... evanesco!" si inalberò Hermione, eliminando accidentalmente la teiera rotta con una stoccata particolarmente poderosa.

"Fred e George?" Neville, perplesso, lasciò temporaneamente a mezz'aria lo straccio impregnato di tè "perché, che hanno fatto?"

Hermione si sforzò di non guardarlo troppo male, vista la situazione, ma si prese un paio di secondi per fare un profondo respiro.

"Oh, ragiona, Neville! Chi altri conosci che potrebbe tirare fuori uno scherzo simile?!"

Lui sembrò ragionarci su per un momento, poi scrollò le spalle.

"Non hai tutti i torti, ma chi ti dice che si tratti di uno scherzo?"

"E cos'altro potrebbe essere? Ti risulta che stiamo per convolare a giuste nozze?" domandò lei, sorpresa.

"Io e te? Direi proprio di no!" rispose lui, allegramente, riprendendo a pulire, per poi guardarla ansioso "non che non sarebbe... voglio dire, sarei molto, molto fortunato!"

"Non intendevo questo!" sbottò Hermione, alzando gli occhi al cielo "ma sul tavolo della cucina riposa una mostruosità a dieci strati di violetta canterina con le nostre iniziali dorate, Neville! Anche per i loro standard si tratta di uno scherzo molto costoso... beh, non che sia mai stato un problema, immagin...oh!"

Il grosso camino del salotto si era acceso di splendenti fiamme color smeraldo, interrompendo a metà il suo sproloquio, e una figura emerse sventolandosi allegramente le vesti dalla fuliggine.

"Parola mia, mi stava fischiando l'orecchio sin da Londra... ah, ecco il futuro sposo che si occupa del suo nido!"

George Weasley, sorriso smagliante e lentiggini, era emerso dal camino, del tutto indifferente al clima elettrico che regnava nel piccolo soggiorno.

"George!" disse Neville, entusiasta, andandogli incontro.

"Proprio tu!" esclamò Hermione, livida, travolgendo il coinquilino nel tentativo di avventarsi sul nuovo venuto "spiegati! Cosa diamine è questo pandemonio? Oh, George, speravo davvero che avessi superato questo genere di cose!"

"Dì un po', di che diamine sta parlando?" domandò a Neville il nuovo venuto, a mani alzate "e tu, non sventolarmi contro quella bacchetta, so bene che cosa può combinare"

Hermione abbassò prontamente la sua arma, ma incrociò le braccia con fare belluino.

"Hermione è convinta che tu e Fred abbiate cospirato per far credere ai tuoi genitore che io lei stiamo per sposarci. C'è anche una torta" spiegò Neville, serafico.

Gli occhi di George scintillarono di malizia.

"Ah sì? Beh, queste sono accuse piuttosto pesanti. Da brava assistente del Dipartimento per l'Applicazione della Legge Magica suppongo che tu abbia una certa quantità di prove a supportare questa tesi" rispose George, guardandosi ostentatamente attorno, come alla ricerca di un grosso plico di documenti.

Gli occhi di Hermione si assottigliarono pericolosamente.

"Non siamo in tribunale, George, ma questa è l'unica spiegazione plausibile! Tu e il tuo degno compare avete un senso dell'umorismo del tutto deviato"

"Ehi, vacci piano, il nostro senso dell'umorismo ci vale sonanti galeoni! Non posso parlare per il mio degno compare, ma io rifiuto tutte le accuse. Pare che abbiate questioni più urgenti di cui occuparvi, in ogni caso."

E ciò detto indicò la finestra, che Hermione si voltò a guardare non senza una certa apprensione. Nel piccolo cortile era comparso un gruppetto di uomini vestiti in brillanti tenute argentate, che si guardavano attorno, alcuni indicando i grandi alberi del vialetto, altri misurando ad ampi passi lo spiazzo circostante, valutandone l'ampiezza.

"Chi è questa gente?" domandò Hermione, stupita.

"Pegasus Wedding Planning" rispose Neville, aguzzando la vista.

"E tu come lo sai?!"

"E' scritto sulle divise, vedi? Sulla schiena"

E aveva ragione, ricamato a svettanti scritte smeraldine sulle divise del personale c'era un grosso logo alato.

Hermione si voltò a bocca aperta verso George, che alzò le mani con un'espressione innocente appena credibile.

"Cosa facciamo? Li mandiamo via, immagino?" domandò Neville, lanciando occhiate dubbiose agli altri due.

"Direi, a meno che tu non voglia vederti il giardino addobbato a festa!" rispose Hermione, esasperata.

"Ops, si stanno avvicinando alle gardenie zannute... ci penso io, Hermione, tu, ehm, credo che tu abbia altro di cui preoccuparti" disse, con tono preoccupato, occhieggiando alla solitaria sagoma sprovvista di tuta argentata che si faceva largo, esitante, lungo il vialetto.

Hermione sbiancò appena. L'alta figura dinoccolata del suo ex fidanzato era l'ultima che avrebbe voluto vedere in una situazione come quella. Non quando aveva passato mesi rifugiata in quella baita solitaria, in compagnia dell'unica persona abbastanza gentile da lasciarle la sua privacy, a smaltire tutto un enorme, complesso groviglio di sentimenti riguardo un matrimonio che era molto più reale della pantomima con cui combatteva quel giorno, ma non meno irrealizzabile.

E ora eccolo lì, a bussare all'improvviso alla sua porta. Hermione non pensava che avrebbe avuto il coraggio di fare una cosa simile, ma d'altronde Ron era sempre stato molto più coraggioso di quanto lei gli desse credito.

"Penso che sia ora che parliate" sussurrò Neville, incoraggiante "ma se vuoi posso mandarlo via..."

"No, certo che no" rispose subito Hermione, col cuore gonfio e senza una chiara idea di cosa avrebbe dovuto provare "non ce n'è motivo, tu... occupati di loro, prima che si facciano mangiare un piede" indicò un paio di addetti in procinto di pestare un bulbo di gardenia.

Neville imprecò, e si precipitò fuori a prevenire il disastro, lasciandola con George, il quale si era educatamente rivolto a guardare una terribile pianta da vaso gibbosa che Neville teneva sopra al camino.

"Se vuoi il mio consiglio, non sarà terribile come pensi tu. E' solo Ron, no?"

Solo Ron. Già, era solo Ron, non c'era nulla di cui avere paura. Eppure perché sentiva le mani fredde e i piedi pesanti come se fosse stata in procinto di cavalcare un drago?

"Vado a dare una mano a Neville... credo ne abbia bisogno" borbottò poi George, sopracciglia aggrottate, per poi smaterializzarsi.

Il che la lasciava da sola. Dalla finestra poteva vedere George e Neville che argomentavano con gli addetti, allontanandoli dalla zona di pericolo, e anche Ron che si avvicinava alla porta. Ron, con la sua figura allungata, con il naso lungo e lo sguardo perplesso, con i vestiti in disordine per il viaggio e i capelli che si era sicuramente sistemato un attimo prima.

E improvvisamente si soprese a scoprire, in quel groviglio confuso e indistricabile, un piccolo filo teso che voleva davvero vederlo. Voleva davvero, davvero vederlo. E così quasi corse verso la porta e la spalancò senza aspettare che bussasse, trovandolo sorpreso con una mano alzata, l'espressione onesta di chi, probabilmente, provava tutto ciò che provava lei.

"Ehi" le disse, abbassando la mano e mettendola in tasca, come se non sapesse cosa farci.

"Ehi" rispose lei, scoprendo che l'imbarazzo non era tanto quanto pensava.

E' davvero solo Ron. Pensò, con un sospiro interiore. Solo Ron.

"Vuoi entrare?"

Lui fece un sorriso un po' imbarazzato, e annuì.

 

***

“E così questa è casa di Neville, eh? Sembra una serra” sentenziò Ron, seduto nella cucina, osservando con una certa curiosità l’enorme torta musicale che troneggiava sul tavolo ingombro, di fianco alla teiera germogliata.

“Sì, sai, vorrebbe diventare professore di Erbologia”

“Professore? Intendi a Hogwarts?” domandò lui, a occhi sgranati.

“No, a Durmstrang. Gli sono piaciute le divise bordate di pelliccia”

“Ah-ah. Intendo solo che… wow, non pensavo che Neville fosse così affezionato alla scuola. Sai, con Snape e tutto il resto, non era proprio brillante.”

“La professoressa Sprite pensa che sia molto brillante” argomentò lei, ora un po’ irritata “l’ha anche raccomandato per partecipare a uno studio sulle proprietà delle piante spongiformi del mediterraneo. E sta aiutando moltissimo Fred e George…”

“…sì, sì, lo so, per il negozio, ci lavoro anche io, ricordi?” borbottò lui, ed Hermione pensò che si sentisse un po’ colto in fallo. In realtà aveva un’alta considerazione di Neville – ce l’avevano tutti, soprattutto dopo ciò che aveva fatto durante il suo ultimo anno ad Hogwarts. Ma, forse perché loro non c’erano stati, era difficile scrollarsi di dosso l’immagine del goffo, smemorato compagno di Casa che era stato per tanto tempo.

Le era così spontaneo leggere dietro i mugugni di Ron, intuire le parole che non riusciva a dire, soprattutto con lei. Forse proprio perché era lei quella, tra i due, capace di leggere tra le righe.

Ed era sempre stato quello il problema, tra loro.

“Gli affari vanno bene, quindi?” cercò di domandare con gentilezza, e con suo sollievo Ron alzò gli occhi al cielo.

“Se vanno bene? Quei due sono sommersi di galeoni! Fred dice che dopo la guerra la gente aveva bisogno di festeggiare, e siccome loro erano gli unici ad essere rimasti aperti…”

Hermione annuì, pensando che era decisamente un bene, anche se le cure di Fred dovevano essersi mangiate una fetta consistente dei guadagni… ma si pentì subito di averlo pensato. A chi importava dei soldi, in un momento del genere?

 “Lui come sta?” domandò, non senza una certa esitazione. L’argomento Fred era ancora delicato, e infatti Ron si irrigidì appena, anche se si sforzò di avere un tono leggero.

“Bene, immagino? Cioè, la terapia funziona, e non fa altro che scherzarci sopra, ma sai come sono lui e George, non si capisce mai cosa gli passi per la testa… anche se in realtà penso che negli ultimi mesi tu lo abbia visto più di me”

Magari fosse stato così, pensò Hermione, con amarezza. Percepì l’argomento della loro conversazione che si stringeva attorno a lei, minacciando quella tranquilla conversazione estemporanea. E infatti Ron sembrò farsi forza per tirare fuori le parole giuste.

“Tu… come stai, Hermione?” domandò, con le orecchie che arrossivano velocemente fino a raggiungere una delicata sfumatura color ravanello.

“Bene” rispose automaticamente lei, stringendo tra le mani la bacchetta, sotto al tavolo, come un piccolo talismano.

Ron sollevò entrambe le sopracciglia.

“Davvero… beh, lo sai, no?” rispose lei, con un sospiro, allentando un po’ la presa sulla bacchetta, e sentendosi arrossire un po’ a sua volta “è tutto molto strano”

“Puoi dirlo forte. Almeno tu non hai una decina di parenti ficcanaso a tampinarti a tutte le ore del giorno. Se solo avessi pensato per primo a Neville! Scommetto che neanche mia madre arriverebbe a importunarmi fin quaggiù”

Hermione lo guardò per un paio di secondi, interdetta.

“Tua… Ron, ma tu perché sei qui?” domandò, forse con un po’ troppa impazienza, e infatti Ron fece uno sguardo vagamente offeso.

“Posso anche andarmene, eh…”

“Oh, certo che no! Voglio dire, è solo che non capisco perché tu sia arrivato così all’improvviso”

Fu il turno di Ron di fissarla, allibito.

“Cosa vuol dire all’improvviso? Mi hai invitato tu!”

“No che non l’ho fatto!”

“E allora cos’è questo?” sbottò lui, trafficando nella tasca del mantello da viaggio fino a pescare una piccola lettera dalla carta bianca un po’ rigonfia, e appoggiandola sul tavolo. Hermione riconobbe immediatamente la carta da lettere: era decisamente la sua, quella che usava per inviare gufi all’ufficio. La prese con una certa impazienza, e facendo scivolare la mano al suo interno ne tirò fuori una piccola fiala trasparente, che conteneva una sostanza vagamente argentea e roteante.

“Un ricordo?” domandò, sorpresa.

“E un biglietto” precisò Ron. Hermione trafficò nuovamente con la busta, tirandone fuori un cartoncino su cui spiccavano, nella sua calligrafia piccola e ordinata, poche righe che lo invitavano ad andare a trovarla. Eppure non ricordava di aver mai scritto nulla del genere, non le era mai nemmeno passato per la mente! Il contenuto della fiala continuava a roteare, misterioso e insondabile, il che le fece venire in mente un’altra domanda.

“Come hai fatto a vedere il ricordo?”

“Ho chiesto a Harry in prestito il suo pensatoio” rispose Ron, con un’alzata di spalle.

“Harry ha un pensatoio?!” chiese Hermione, vagamente colpita.

“Sì, immagino che abbia parecchia roba da buttarci dentro, no?”

Questo era più che sicuro, pensò lei, con una piccola stretta al cuore.

“Quindi anche lui ha visto…?”

“Assolutamente no” rispose in fretta Ron, con le orecchie rossissime “sono cose… beh, private, no? Insomma, più o meno.”

Cose private. Hermione guardò la fialetta con rinnovato orrore. Cosa diamine poteva contenere? E come era arrivata nelle mani di Ron? Mentre lei pensava, Ron si rimise a osservare di nuovo la torta.

“Dì un po’, e questa per che cos’è?” chiese, aggrottando le sopracciglia di fronte alle grosse iniziali dorate e panciute che decoravano il lato più ammaccato.

“Un matrimonio” rispose distrattamente Hermione, alzandosi in piedi e muovendosi verso l’ingresso.

“Ah sì?! E chi si sposa?” chiese Ron, sorpreso.

“Io e Neville, pare. Ma puoi chiedere ulteriori dettagli a tua madre. È di sopra”

Fece appena in tempo a vedere Ron diventare bianco come un lenzuolo prima di sparire oltre la porta, diretta verso la sua stanza, dove la aspettava un pensatoio e, sperava, qualche risposta.

 

La stanza di Hermione era piccola, luminosa e, rispetto al resto della casa, estremamente ordinata. A dirla tutta somigliava più a una piccola biblioteca che a una camera, non fosse stato per il letto singolo, incastrato in mezzo alle numerose librerie che tappezzavano le pareti. Un modesto armadio a due ante era relegato dietro la porta, evidentemente ultimo nella gerarchia di utilizzo del mobilio. Il primo posto, invece, era stato assegnato all’enorme, pesante scrivania che troneggiava sotto la finestra, ed è proprio lì che si diresse Hermione, a grandi passi.

Riposta a sinistra, nel portalettere, riposava la stessa carta usata per la busta il biglietto – la carta che usava tutti i giorni per scrivere le missive dell’ufficio. La confrontò velocemente, e sì, era senza dubbio identica, pesante, di un bel color avorio. Se l’era regalata il giorno in cui aveva ottenuto il tirocinio…

Certo, non era impossibile contraffarla, né copiarla con la magia. Tirò fuori la bacchetta, e cominciò a borbottare una serie di incantesimi rivolti alla missiva sospetta, da un “finite incantatem” fino a più complessi incantesimi rivelatori, ma a nulla valsero i suoi sforzi. La lettera era reale e, apparentemente, anche la sua calligrafia.

Rimaneva solo il ricordo. Teneva la fiala tra le dita, osservandola con attenzione. Sarebbe bastato guardarlo per sapere… lì, nel grosso cassetto centrale della scrivania, c’era un piccolo pensatoio d’ottone, che le era costato due interi stipendi, quando aveva appena iniziato a lavorare al ministero. Sapeva che Silente ne aveva avuto uno, e a quanto pareva Harry aveva seguito il suo esempio. Si domandava se lui ne facesse un uso simile a quello del loro preside, oppure, come lei, non volesse solo tenere in ordine pensieri o memorie… Ma Harry era sempre stato molto più saggio di lei, lo sapeva, e probabilmente non aveva mai avuto quella sua tentazione di rivedere ancora e ancora scene del suo passato, cercando di trovare una ragione nei momenti più dolorosi, o un conforto in quelli più felici.

Si era sempre ritenuta una persona razionale, ma era consapevole di come lui e Ron l’avessero sempre ritenuta troppo emotiva, troppo facile all’ansia e al panico.

“Ma non sono più così” si disse, imbarazzandosi subito per il suono della sua voce e per quelle parole così accorate. Era vero, in fondo? Non si trovava rifugiata in un piccolo cottage sperduto, lontano da quasi tutti i suoi amici più cari, per sfuggire alle sciocche conseguenze di una relazione col suo migliore amico? Non stava forse tentennando per paura di scoprire cosa potesse contenere quel ricordo, di cosa potesse significare?

Non sono più così, si ripeté, e con un moto di coraggio aprì il cassetto, stappò la fiala e versò in fretta il contenuto nella piccola ciotola decorata prima di poter cambiare idea.

Le rune tutto intorno splendevano, lanciando baluginii color ottone nella stanza e sul suo viso, mentre lei si avvicinava, cercando di scrutare il contenuto, il cuore che batteva forte nel petto. I ricordi vorticavano in un groviglio nebuloso, ma piano piano, mentre si avvicinava fin quasi a sfiorarli con la punta del naso, si schiarirono, fino a che una scena emerse, chiara, muta, familiare e vivida come quando l’aveva vissuta.

Erano arruffati, lividi, sanguinanti, nel pieno della battaglia. Hermione non aveva ripensato a quel particolare momento per tanto tempo, relegandolo in qualche oscuro angolo della sua mente, chiuso in un cassetto. All’epoca non aveva fatto molto caso a Harry, che si guardava intorno imbarazzato. Erano così piccoli, tutti e tre. Ron sembrava così felice, luminoso, sicuro.

Rimase a fissarlo per qualche secondo, il petto che rimbombava come un tamburo, il biglietto sulla scrivania illuminato dalla luce argentea del pensatoio.

 

Un lieve bussare alla porta interruppe le lacrime che rischiavano di iniziare a cadere copiose, ma non riuscì a sciogliere una brutta stretta che minacciava di stritolarle il petto.

“Avanti” rispose, cercando di ricomporsi in fretta. La testa bionda di Neville sbucò dallo stipite, e la guardò dapprima con curiosità, poi con preoccupazione.

“Hermione! Tutto ok?” chiese, ad occhi sgranati.

“Oh, sì, non preoccuparti” rispose lei, con una scrollata di testa “solo un momento di nostalgia, tutto qui.”

Neville sembrava ancora preoccupato, ma anche notevolmente imbarazzato dalle sue lacrime. E Merlino sapeva se ne aveva già viste abbastanza, in quei mesi!

“Oh, beh… volevo solo farti sapere che giù c’è un po’ di parapiglia, e Bonky è sul piede di guerra”

“Bonky?” chiese Hermione, dandosi una veloce rassettata e chiudendo il cassetto della scrivania “e adesso chi diamine sarebbe Bonky?”

“Ecco… apparentemente è un wedding planner” rispose Neville, molto dubbioso “Fred lo trova molto spassoso, ma…”

Qualunque cosa Fred trovasse molto spassoso non poteva essere davvero una buona notizia.

“Oh no” sospirò, coprendosi il viso con le mani, per poi rendersi conto delle parole di Neville, e alzare di scatto la testa.

“Un momento, Fred? Fred è qui?”

“E’ appena arrivato” fu la risposta, data con tutta calma, come se quella casa non fosse già fin troppo popolata.

Hermione scattò in piedi. Assurdo! Fred, che bisognava praticamente appellare a forza per costringerlo a presentarsi per le medicazioni! Fred, scomparso da mesi, tanto che Hermione avrebbe potuto giurare che ci fosse un solo gemello in circolazione! E adesso si presentava in mezzo a tutto quel caos di lettere, wedding planner e glasse alla violetta?!

“Assolutamente ridicolo!” esclamò, infuriata, lanciandosi giù dalle scale, verso l’ingresso che si aspettava stipato, ma era invece vuoto, così come il salotto e la cucina. Dalla finestra aperta, invece, proveniva un certo baccano di voci, e così rivolse la sua marcia al cortile, spalancando la porta di casa.

“Cosa diavolo…?!” domandò, rivolta a nessuno, visto che la folla era considerevolmente aumentata dall’ultima volta che aveva osato posare lo sguardo sul giardino, e tutti, nessuno escluso, sembravano impegnati in un battibecco.

“Assolutamente no, Ronald! Come ti è venuto in mente di presentarti così all’improvviso? Come al solito dimostri la sensibilità di uno schiopodo!” Stava sbraitando Ginny contro il fratello,

“Per l’ennesima volta, non mi sono presentato io! Mi hanno invitato!”

“Certo, come no, te e la zia Muriel!”

Avrebbe voluto intervenire per chiarire l’equivoco, ma da dove iniziare? Anche lei non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

“Molly cara…”

“Non chiamarmi Molly cara, Arthur, e lascia stare quell’affare! Siamo qui per una celebrazione!”

“Ma Molly c-, ehm, Hermione ha detto che non è un prob-“

“I ragazzi hanno evidentemente bisogno di aiuto, quindi-“

“Dove posiamo i canapè, signora?”

“Cos- che?” una voce l’aveva distolta dal tentativo di sgattaiolare il più lontana possibile dagli occhi fiammeggianti della Signora Weasley. Un altissimo mago di mezza età dall’aria arcigna, tutto vestito di bianco, la stava fronteggiando a braccia incrociate.

“I canapè. Ca-na-pè. Per il rinfresco” scandì, sillabando a voce alta “mi era stato detto che per quest’ora il tendone sarebbe stato allestito. Dove dovremmo piazzare il rinfresco?”

“Io veramente… non lo so” pigolò, un po’ intimorita dagli occhi fiammeggianti dell’omone che la scrutava come se gli avesse affatturato il gatto.

“Di bene in meglio. Insomma, lei è la sposa sì o no?” questionò, evidentemente dubbioso (almeno lui).

“No! Insomma, io…” fece un passo indietro, indecisa se mettersi a urlare o scappare a gambe levate, ma fu quasi investita da un paio di uomini in tuta argentea che le urlarono “sciscusi, scìorina, faccia largo”, mentre con le bacchette facevano levitare quello che sembrava essere un enorme tendone da circo, grosso quasi quanto la casa intera, e sembravano intenzionati a ricoprire l’intero giardino.

“Cos- che diamine- attenti alle begonie burbanzose!” strillò, lanciandosi verso i due operai che rischiavano di decimare la rigogliosa coltura di Neville – il che gli avrebbe certamente fatto rispolverare le sue doti di spadaccino improvvisato per decapitarli. Aveva già la bacchetta alla mano, pronta a prevenire la tragedia, quando un Protego si frappose tra gli uomini e l’aiuola.

“Io fossi in voi le darei retta, signori, o rischiate di vedervi trasfigurati in concime di cacca di drago, parola mia!”

Hermione sobbalzò come se fosse stata infilzata da una manticora.

“Fred!” boccheggiò, guardando il gemello latitante come fosse un’apparizione divina.

“In carne e ossa, almeno in una considerevole percentuale” ammiccò lui gradevolmente. Sembrava stare bene. Sembrava stare benissimo, in effetti, rispetto all’ultima volta che si erano visti. Doveva avere una faccia davvero sconvolta, a giudicare dallo sguardo impertinente che le rivolse.

“Suvvia, Hermione cara, so che sono bello da prendersi a schiaffi, ma non c’è bisogno di fare questa pantomima ogni volta che ci vediamo, o rischio di ritrovarmi con l’ego di Gilderoy Allock prima che la festa sia finita!”

“Oh… tu! Tu e i tuoi scherzi meschini! Tutto questo ti sembra… divertente?” domandò Hermione, ritrovando la forza per infervorarsi, e facendo un enorme sforzo per non guardare in basso.

“Assolutamente no, sono l’immagine della contrizione. Praticamente in lutto. A proposito, il mio degno compare mi ha informato delle tue teorie cospirazioniste, e devo dire che sono profondamente offeso. Diamine, ce n’è per farne una ballata tragica alla Celestina Wareback, con tutte queste lacrime!” sogghignò, mentre alle sue spalle un operaio inciampava sul signor Weasley, che tentava di sgattaiolare sul retro con la bicicletta, causando un’incidente a catena degno del peggior circo di clown. Hermione iniziava a sentire i primi sintomi del mal di testa da stress.

“Fred, non iniziare, ti prego! Tra te e Ron e… a quanto pare da qualche parte c’è un Wedding Planner!”

“Ron? Ron è qui?” domandò Fred, improvvisamente serio, iniziando a guardarsi intorno con sospetto.

“Non hai ancora conosciuto Bonky?” domandò invece una seconda, identica voce, mentre George compariva alle spalle del gemello “questo è assolutamente inammissibile, ti sta cercando ovunque. E dico davvero ovunque, è una vera furia, lavoratore instancabile”

“Cosa stai dicendo?” domandò Hermione, che cominciava a essere stanca di quella commedia dell’assurdo.

“Che diamine ci fa Ron qui?” si interessò invece Fred, per una volta in lieve dissonanza con la sua controparte.

“Magari lo sapessi!” Rispose Hermione, scuotendo la testa, sopraffatta “Oh, Fred, io… tu…” le venne voglia contemporaneamente di scappare di nuovo nella sua camera silenziosa e di iniziare a pestare i piedi come una bambina.

“Io tu cosa?” chiese lui, aggrottando le sopracciglia.

“Perché sei sparito per tutti questi mesi?” domandò lei, con un sospiro sconfortato.

Fred sembrò rimanere per un brevissimo istante a corto di parole.

“Signorina!”

Una vocina stridula sembrò provenire direttamente dalla gamba destra di Fred, che abbassò lo sguardo incuriosito.

“Perbacco. Ne hanno di accessori, queste nuove protesi magiche!” commentò, prima che un minuscolo e insindacabilmente contrariato Elfo Domestico sbucasse fuori, puntando minaccioso il dito verso Hermione.

“Signorina, è tutta un’ora che Bonky cerca! Proprio non professionale. Lei è la sposa?”

“Hermione, ti presento Bonky. Bonky, Hermione” Sghignazzò George, scomparso per quei pochi secondi apparentemente al solo scopo di evocare il più bizzarro esemplare della sua specie. E tutti loro avevano conosciuto Dobby. Hermione boccheggiava, senza parole. Un elfo domestico. Bonky era un elfo domestico? In FRAC?

“Io… ecco…”

“Signorina, Bonky ha molto da fare! Un matrimonio da organizzare prima di tramonto! Scaletta da rispettare, signorina! Allora, è lei la sposa, sì o no?”

Fred si stava reggendo a George alle spalle dell’esserino, entrambi scossi da risate silenziose così violente da rischiare un collasso. Bonky la guardava con i grandi occhi marroni così sgranati da farlo sembrare un cartone animato, colmi di severità e urgenza.

“No… io…” boccheggiò Hermione.

“S-suvvia, Hermione. Non vorrai privare il povero Bonky del suo stipendio, giusto?” riuscì a sfiatare George, asciugandosi le lacrime con la maglietta. Spregevole, spregevole individuo.

“Io… oh…” Bonky la fissava, e improvvisamente lei seppe di essere sconfitta “certo, Bonky. Sono la sposa. Cosa ti serve sapere?”

Bonky tirò fuori un enorme taccuino, e le sorrise. Hermione sapeva che avrebbe dovuto sprizzare gioia – si batteva per i diritti degli elfi domestici sin dai tempi della scuola – ma quel sorriso, per qualche motivo, le sembrò molto, molto minaccioso.

Alle sue spalle, al di là Fred e George, oltre i lavoratori della Pegasus, al Signor Weasley ancora intento a farsi strigliare dalla moglie, a Neville, aria scontenta e un grosso vassoio di canapè tra le mani, un’altra figura entrava nel grazioso, stipato giardino, una figura alta, bionda, altezzosa e dall’aria vagamente schifata.
Le sarebbe bastato alzare appena la testa per essere la prima a vederla, ma era troppo impegnata a subire una tremenda ramanzina da una vocetta incredibilmente stridula che le parlava di impacchi di alghe e occhiaie e canapè.

 

Se fosse stata la prima a notarlo, o fosse stata abbastanza vicina, le cose sarebbero andate diversamente, ma quella mattina, che era appena iniziata, non voleva saperne di far quadrare nulla per il verso giusto. A dirla tutta, prima di sera erano ancora in programma una decapitazione, una scoperta sensazionale, una dichiarazione o due, qualche colpo di scena e (su questo Bonky non transigeva) un bellissimo matrimonio. Ma questo né Hermione, né nessuno dei presenti lo sapeva.

Il sole splendeva alto nel cielo sereno e limpido di Maggio. Era una bellissima giornata.

 

***

 

“Che diavolo ci fa lui qui?!”

La voce di Ginny, poco distante, quasi non si sentì al di sopra dello sproloquio di Bonky sulla disposizione dell’altare, che secondo lui avrebbe dovuto puntare a nord per garantire che la luce del tramonto si riflettesse in modo ottimale sul velo della sposa.

“Io non metto nessun velo” dichiarò Hermione, già stressata all’inverosimile.

“Che diavolo ci fa lui qui?” reiterò Fred, con voce soffocata, lì di fianco.

“Oh, Fred, non ora!” sbottò lei, che cominciava ad averne davvero abbastanza “potrei fare la stessa domanda a te e a tutto il resto del clan Weasley”

“Non parla di Ron” rispose George, indicando il fondo del giardino “Lui!”

Finalmente, Hermione guardò. E, in tutta sincerità, a quel punto pensò davvero di star avendo uno stranissimo incubo. Perché a fare il suo ingresso nel giardino era stato nientepopodimeno che Draco Malfoy, in carne, ossa e dense radiazioni di spocchia.

Hermione non lo vedeva da… beh, dall’ultimo anno ad Hogwarts. Il suo ultimo anno. Il loro, in realtà. Quando aveva deciso di tornare per completare la sua istruzione, Ron le aveva dato della folle. Harry aveva accolto l’idea con una scrollata di spalle, ma forse più per un legame nostalgico alla scuola. Quando aveva deciso di partire con lui, si era ripromessa che niente, né Voldemort, né la guerra, né nessun altro le avrebbero impedito di combattere per quello in cui credeva. Quando era tornata, quell’ultimo anno, l’aveva fatto convinta di essere una persona più forte, qualcuno in grado di parlare e farsi valere, di non farsi influenzare dal giudizio degli altri. La persona che aveva sempre voluto essere, e non sentiva di essere mai stata.

Ovviamente aveva fallito. E quel fallimento stava camminando proprio lì, in mezzo a tante facce ostili, con il solito cipiglio arrogante indossato come una corona. Ma, e lei lo vedeva bene, non guardava nessuno negli occhi.

Il Signor Weasley aveva la faccia crucciata, la Signora Weasley sembrava voler dire qualcosa, senza sapere bene cosa.

“Che diavolo ci fai tu, qui?”

“Oh no” Hermione impallidì. Ron era davanti a Malfoy, una sorta di strano testa a testa fuori dal tempo, quasi comico.

“Non penso che la cosa ti riguardi, Weasley” rispose Malfoy, con la sua voce strascicata, ma con qualche piccola nota fuori posto. Era lei l’unica a notarla?

“Oh, sì che ci riguarda” disse Ginny, temporaneamente dimentica del fatto che stesse facendo pelo e contropelo al fratello maggiore solo qualche secondo prima. Aveva un’aria testarda che Hermione le aveva già visto fare sul campo di Quidditch, poco prima di colpire un bolide con abbastanza forza da spararlo dall’altra parte del campo.

“Oh, no” ripeté, Hermione, lanciandosi in quella direzione.

“Senti” stava dicendo Malfoy, con aria improvvisamente spiccia “non sono interessato a partecipare alla vostra piccola festa, se è questo che vi preoccupa”

“Mi preoccupa qualunque cosa in cui c’entri tu” rimbottò Ron, con aria funerea.

“Il motivo per cui sei qui non importa a nessuno” aggiunse Ginny, bellicosa “adesso giri i tacchi e te ne torni a…”

“SCUSATE” ansimò Hermione, precipitandosi a interrompere la scena “io… L’ho invitato io”

Non sapeva esattamente da dove le fossero uscite quelle parole, ma adesso tutti gli Weasley presenti la stavano guardando come se avesse annunciato di aver scelto Grop come damigella d’onore.

“Tu… ma… Hermione. Non puoi dire sul serio” disse Ginny, incredula.

“Dico sul serio” dopotutto, se aveva non-invitato un intero servizio di catering, Pegasus Wedding Planning corredato di Bonky, l’intero clan Weasley (ex fidanzato e gemello latitante compresi), poteva benissimo aver invitato anche Draco Malfoy. “Perché no?”

“Perché… perché lui…”

“Ora basta, Ron” intervenne la signora Weasley, entrando a gamba tesa nella discussione “Hermione è la sposa, e se… beh, se per lei va bene allora andrà bene anche per noi. Giusto, Ginny?”

“Ma…”

Giusto, Ginny?” ripeté la signora Weasley, sfoggiando la medesima espressione bellicosa della figlia. Ci fu un momento di stallo, in cui si fronteggiarono, ma alla fine Ginny dovette arrendersi, perché scrollò i lunghi capelli rossi, e borbottò un poco convinto “d’accordo, come vuoi.”

“Sposa?” aggiunse invece Malfoy, con le sopracciglia alzate in modo scettico, per poi guardare Ron, che arrossì violentemente sulle orecchie.

“Non con lui” si affrettò a rispondere Hermione, stringendo la bacchetta in tasca. “Neville. Paciock.”

“Paciock?” rispose Malfoy, evidentemente in un moto di spontanea incredulità, che represse subito dietro un’aria insondabile.

 “Sì. Paciock. Qualche problema?” rispose Hermione, di nuovo tremendamente irritata.

“Certo che no. Congratulazioni, immagino” rispose lui, per poi volgere lo sguardo alla famiglia Weasley, che continuava a fissarlo come aspettandosi che da un momento all’altro facesse saltare in aria il tavolo dei canapé in un atto terroristico improvvisato.
“Quindi, Granger, a meno che tu non voglia discutere dei nostri affari di fronte a tutto il Wizengamot, potremmo…?” le disse, e se Hermione non fosse rimasta incagliata su quel ‘nostri affari’ avrebbe fatto più caso al nervosismo nella sua voce.

“Io… ma certo. Signora Weasley, so che deve essere stanca dal viaggio, ma se potessi chiederle di dare una mano a Neville…” implorò Hermione, sopraffatta dalla necessità di delegare al meno in parte il controllo del completo caos di quella mattina.

“Ma certo, mia cara” rispose la Signora Weasley, in tono affettuoso, senza però distogliere uno sguardo vagamente preoccupato da Malfoy, che cominciava a dare segni di impazienza.

“La ringrazio tanto. Malfoy, tu puoi, ehm… ti faccio strada” concluse, e si frenò a stento dallo spiccare una corsa fino al cottage.

“Delizioso posticino” commentò lui, seguendola e guardandosi attorno con rapide occhiate. Il suo tono noncurante non era affatto riflesso dal passo teso e dalle spalle rigide. Quando arrivò davanti a Fred e George, rallentò un po’, ed evidentemente non poté impedirsi di guardare in basso. Doveva aver saputo di Fred, ma distolse in fretta lo sguardo, mentre quest’ultimo gli lanciava uno sguardo di fuoco che raramente Hermione gli aveva visto rivolgere a qualcuno. Ma non c’era tempo per sbrogliare anche quella matassa. Con il mal di testa che si faceva sempre più pressante, condusse Draco Malfoy nel piccolo cottage. Qualcosa di così normale, eppure così fuori dalla realtà.

Quando si chiusero la porta alle spalle, vide che le sue spalle si rilassavano un po’, e si sorprese a pensare che tutto questo non doveva essere stato facile, affrontare così tante persone del suo passato, sentirsi giudicato… ancora una volta, quel giorno, si ritrovò a rivalutare il coraggio di qualcuno. Di Malfoy, poi! Doveva essere ammattita.

“E quindi, a cosa devo l’onore?” domandò, incrociando le braccia e facendo qualche passo indietro, mentre il confortevole ingresso illuminato dal caldo sole primaverile le sembrava d’un tratto molto piccolo e angusto.

Lui aggrottò le sopracciglia.

“Cosa vuol dire ‘a cosa devo l’onore’?” chiese, adesso con una certa irritazione nella voce che gliela rendeva molto familiare. Subito dopo, però, ebbe come uno strano spasmo alla mano, e abbassò in fretta lo sguardo.

Molto strano. Decisamente molto strano.

“Sono venuto per… per parlare, immagino. No, non proprio. Merda.”

E’ in imbarazzo, realizzò improvvisamente, come colpita da un fulmine a ciel sereno. Draco Malfoy in imbarazzo, lì, nel piccolo cottage di Neville Paciock! Il mondo doveva essersi rovesciato. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma intuì che forse sarebbe stato meglio lasciarlo fare.

“Ho riflettuto. Su quello che mi hai mandato. E penso di doverti almeno dire che… che io…” deglutì a fondo, con evidente difficoltà. Trovare il coraggio non era mai stato il punto forte di Malfoy.

“Che ti ho mandato?” domandò sottovoce, facendo eco alle sue parole quasi sovrappensiero. Malfoy sembrò attaccarsi a quel piccolo appiglio di conversazione.

“La tua lettera, Granger. I… ricordi. Li ho visti. E sono venuto a dire… grazie, Granger. Per tutto quanto. Grazie.”

 

 

 

 

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Prologo 

 

Chi sono?

 

Aprì gli occhi per la prima volta, senza dolore. Era buio tutto intorno, eppure gli sembrava che ogni piccolo angolo della stanza fosse acuto, definito. Era la prima volta che gli sembrava di vedere. Si domandò, assetato, da quanto tempo avesse gli occhi chiusi.

Mosse lo sguardo lungo la stanza, senza analisi, solo beandosi del lieve rumore sordo che gli ronzava tutto attorno, ovattato, statico.

 

Aprì la bocca, sentendola secca, impastata, e provò a tirare un lungo respiro. Il petto gli si riempì di aria, e gli parve di non aver mai respirato.

C'era un grande vuoto, ovunque, nella sua testa, nelle sue mani, nell'aria attorno a lui. Tutta la stanza era sottovuoto, dispersa, inconsistente, eppure ogni oggetto era così tangibile e reale che gli sembrava di poterne sentire il peso tra le dita.

Non riusciva a muovere niente, ma scoprì con sorpresa che non gli importava. Sentiva che il suo corpo, ogni fibra, ogni strato di epidermide era nudo e all'erta, ma non in modo spiacevole.

 

La finestra di fianco al suo letto era ben chiusa, e dall'esterno premeva una neve fredda e bianchissima, mentre dall'esterno della stanza, oltre la porta socchiusa, un sottile fascio di luce intermittente suggeriva la presenza di persone che camminavano, frettolose.

Mosse appena la testa di lato, e scoprì con sorpresa che un orecchio era molto più funzionante dell'altro, e coglieva nuovi, inaspettati suoni.

 

C'era un sommesso ronzio proveniente dal comò poco distante, e seguendo con gli occhi il rumore scoprì un piccolo spioscopio che vibrava pigramente, indisturbato.

Il ticchettio e lo scalpiccio di scarpe poco distanti si sommava a un parlare sommesso, concitato ma non allarmato.

Passò diverse ore in silenzio, immobile, ad ascoltare tutti quei rumori. Sentì il pianto di un bambino, delle indistinte risate femminili, la voce tonante di un'infermiera. Sentì medimagi che impartivano ordini, visitatori che chiedevano informazioni, lamenti e imprecazioni, ringraziamenti e lodi.

 

Il tramonto tingeva di tinte calde quel suo piccolo, nuovissimo mondo, quando sentì la sua porta che si apriva.

Un paio di piedi stanchi si trascinarono dentro, insieme a un profumo di fiori freschi e uno sbadiglio. Il suo visitatore si guardò attorno lentamente, osservando lo stato della stanza, e poi sistemò i fiori freschi in un vaso con naturalezza.

Lo vide osservare per qualche secondo la grande finestra della camera, prima di tirare fuori la bacchetta e mormorare qualcosa, facendo chiudere le persiane. Dopodiché si voltò verso di lui, e parve diventare di pietra.

 

"Santo cielo!" esclamò, sorpreso e quasi alterato "lei... lei è vivo!"

 

Sono vivo.

 

Era uno strano dato di fatto. Il suo respiro viaggiava secco e lieve tra le labbra screpolate. La sua pelle sottile come carta velina sembrava non riuscire a toccare il morbido copriletto senza dolore. I suoi occhi erano annebbiati e le sue guance umide.

 

Sono vivo pensò, il suo vero primo pensiero sono vivo, e sono libero.

 

Ormai il soffitto sopra di lui era una grande macchia sfocata color crema, ma tenne gli occhi bene aperti, mentre l'infermiere correva fuori chiamando a gran voce un medimago.

Severus non scostò gli occhi dal soffitto, e sentì qualcosa di enorme nel petto, qualcosa di pieno, e ricco e soltanto suo.

 

Sono vivo e sono libero e mai più, mai più chiuderò i miei occhi per qualcuno.

 

 

***

 

Minerva McGranitt

 

"Beh, Severus, devo dire che non hai una bella cera."

 

Non sapeva se Minerva stesse cercando di essere divertente, ma la punta del suo naso aguzzo sembrò vibrare mentre lo guardava, seduta al suo capezzale.

Aprì la bocca per rivolgerle una risposta sprezzante, ma nonostante le gran quantità di pozione idratante che gli veniva somministrata più volte al giorno, non riusciva a liberarsi di quella fastidiosa sensazione di arsura.

Si portò una mano alla gola, tastando le bende che gli fasciavano il collo martoriato.

Vide con la coda dell'occhio che Minerva tendeva le spalle, rigida sulla sediolina di legno, e le scoccò un'occhiata sprezzante, che lei ricambiò con austerità.

 

"Beh, è ora che vada. Tu..." e qui vide il suo naso, di nuovo, vibrare "beh, riguardati."

 

Severus la salutò con un cenno della testa, osservandola uscire con la schiena ben dritta, a passo deciso.

Aveva lasciato dietro di lei una copia della gazzetta del Profeta. In una delle pagine centrali, un trafiletto a due colonne titolava "Ex preside di Hogwarts riprende conoscenza dal coma magico" e proseguiva con un molto incoraggiante "Severus Piton, Mangiamorte o sant'uomo?"

Era interessante - pensò, riponendo il giornale e facendo vagare lo sguardo verso la finestra, da cui entrava un sole pallido e malaticcio - quante possibilità si aprissero, quando non si aveva la possibilità di parlare.

 

 

***

 

Horace Lumacorno

 

Sedeva, pasciuto e imbarazzato, sulla sediolina troppo piccola per contenere la sua mole. Sembrava stranamente sguarnito, senza i suoi confortevoli fronzoli, i suoi ninnoli preziosi, le sue foto autografate.

Sembrava un grosso, piccolo vecchio mago. Lo guardò a lungo in faccia, e Horace parve ancora più a disagio di prima, dimenandosi su sé stesso ed evitando il suo sguardo.

Dopo un po' sembrò arrivare a capire che sarebbe toccato a lui, eventualmente, rompere il silenzio, e tossicchiò brevemente.

 

"E così, ecco, penso saprai che sono il nuovo direttore di Serpeverde, ehm".

 

Piton non lo sapeva, e francamente non rientrava proprio nella lista delle sue priorità, quindi si limitò ad alzare le sopracciglia.

 

"Sai, vista la situazione... spero che non ci sia nessun rancore?" Lo Sguardo di Horace era spalancato, sulle spine, ed ecco che qualcosa di nuovo emerse dalla sua mente.

 

Rancore

 

Era sempre sembrato così importante, eppure in quel momento, guardando quell'ometto baffuto e impomatato e avvolto di velluto a coste, non gli sembrò di avere spazio per niente del genere. Ad essere sincero, si sentiva così vuoto che, paradossalmente, non aveva neanche un po' di spazio a disposizione.

 

Horasce continuava a guardarlo, apprensivo, anziano, disonesto, e gli venne quasi voglia di provare qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato.

Invece si limitò a scuotere la testa.

Sperò che se ne andasse presto.

 

 

***

 

Harry Potter

 

Aveva davvero gli occhi di sua madre.

 

 

***

 

Remus Lupin

 

Fu il primo a bussare alla sua porta. Erano entrate molte persone, ma, fino a quel momento, lui era stato l'unico a bussare. Perfettamente inutile, visto che non poteva dargli il permesso di entrare, ma sembrò pensare anche a questo, quando fece capolino nella stanza, cercandolo con gli occhi.

 

Sembrava cauto e imbarazzato. Severus non riusciva a ricordare il loro ultimo incontro.

 

"E' permesso?"

 

La sua voce timida gli causò uno strano rigurgito nel petto, e abbassò d'istinto lo sguardo, come aspettandosi di trovare qualcosa sanguinare. Sentendosi colto in fallo per quell'azione, rivolse a Lupin uno sguardo torvo, che fu ricambiato da un mezzo sorriso di circostanza.

 

"Non sono qui per disturbarti, Severus" disse Lupin, sempre con quel tono sommesso "ho solo pensato che potessi rivolere questa"

 

Detto ciò, estrasse da una tasca del lungo cappotto una bacchetta.

Severus la guardò per qualche istante, con una strana sensazione.

Era come se stesse cercando di usare dei muscoli atrofizzati, ma che piano piano tornavano in sesto, tesi, fragili, dolorosi.

E improvvisamente, inaspettatamente, come se stesse aspettando quel piccolo segnale, qualcosa di grande, enorme, sporco e nero, aggrovigliato e distorto, pesante e acuminato, lo prese per la nuca e lo costrinse a tenere ben fermo lo sguardo.

 

Ecco, pensò, annichilito, ecco dov'era.

 

Ecco dov'eri. Pensavo di averti dimenticato. Pensavo senza pensarti per lasciarti indietro, lontano, in un'altra vita. Pensavo che la morte ti avesse seminato.

E invece eccoti di nuovo.

 

Chi sono?

 

Eccoti, mostro. Eccoti, uomo nullo, burattino cieco, spia, assassino, traditore, codardo. Pensavo di averti perso.

 

Sono sempre stato qui

 

Pensavo di averti lasciato.

 

Non puoi lasciarmi

 

Pensavo di averti distrutto.

 

Non puoi distruggermi

 

Pensavo...

 

Pensavamo

 

Chi sono io?

 

Non si sentì urlare. Come poteva? C'era così tanto rumore dentro di sé, e ora non sentiva più niente. C'era così tanto rumore intorno a lui, così tanta luce.

E poi di nuovo il buio.

 

Era vivo, ma la libertà è qualcosa che va guadagnato. E lui, nella sua vita, non aveva mai guadagnato niente.

 

 

 

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C’era un raggio di sole dorato che filtrava tra le tendine panciute, proprio sopra i fornelli della cucina, e colpiva in modo gradevole la grossa pila di piatti e stoviglie, ammonticchiati ad asciugare di fianco al lavello, facendoli luccicare alla luce del mattino.
 
Una donna era addormentata su una piccola poltrona nell’angolo, un lavoro a maglia non finito che riposava sul suo grosso grembiule a fiori. 
 
Tutto attorno a lei sembrava regnare il caos ma, e questo bisognava riconoscerlo, era un caos molto ordinato. 
 
Si trattava di una stanza piccola, occupata e vissuta con amore da una grande, rumorosa famiglia, e per questo ogni angolo, ogni nicchia era stato sfruttato per contenere l’indispensabile. La grossa trave di legno, distante pochi centimetri dal soffitto, era stipata con un gran numero di libri di cucina, raggiungibili solo dagli incantesimi di appello della loro proprietaria. 
 
Un enorme tavolo, consunto e visibilmente provato dal tempo, occupava gran parte della stanza, circondato da un gran numero di sedie e sgabelli scoloriti, scrostati e pieni di graffi, e persino sotto di esso, attaccati a grossi ganci, sostavano pesanti, panciuti calderoni, riempiti di patate, verze, carote e sacchi di legumi e farina. 
 
Tutti i piccoli spazi vuoti tra il lavello e i fornelli, tra i fornelli e la credenza, tra la credenza e la stufa, erano occupati da uno scaffale spaiato o un piccolo mobile zoppicante, a sua volta riempiti di brocche, larghe zuppiere di coccio, tegami e pentole di diverse dimensioni.
 
Una gran quantità di tazze dalla forma e dal colore eterogeneo erano un po’ ammonticchiate, un po’ appese sotto la piccola vetrinetta sospesa. 
 
L’aria calda del mattino estivo aveva l’odore dei mazzetti di erbe aromatiche appese ad asciugare davanti alla finestra semichiusa, ondeggiando appena alle rare folate di vento.
 
 
La donna sulla poltrona russava leggermente. Sulla punta del suo naso riposavano minuscoli occhialini da lettura, un’aggiunta recente alla sua routine quotidiana che l’avevano fatta sentire una nonna fatta e finita, ma non le dispiaceva. Era un’estate tiepida e luminosa, leggera e straordinaria, un piccolo miracolo inaspettato. Aveva una leggera trapunta a coprirle le spalle, un gesto affettuoso di suo marito, che non si era sentito di svegliarla la notte prima, e come biasimarlo?
 
Molly dormiva e si lasciava cullare dal confortevole calore della sua casa, il suo amorevole nido. Il suo piccolo regno pacifico, caotico e pulito, in cui tutti erano insieme. In cui i suoi figli riposavano nei loro letti. In cui, almeno nei suoi sogni, stavano tutti bene
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 “Chi me l'ha fatto fare anche quest'anno” sussurrò la scrittrice a nessuno in particolare, gli occhi fissi sullo schermo che illuminava di luce bluastra il volto emaciato.

La tazza di tè lì accanto era ormai fredda, il liquido al suo interno nero e amarissimo, abbandonato da ore. 
Sul letto poco distante una massa informe e pelosa si miagolò, rivelando tre gatti ammassati l’uno sull’altro.
 
“Shhhh!” sibilò, con uno scatto nervoso della testa, per poi tornare a sillabare parole intelligibili.
 "Devo solo riassumere. Riassumere."
 
Nene aveva sempre odiato le drabble. Ma per il cowt, questo e altro.
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"René, è Mariano. Non so che è successo ma ha detto che vuole proprio te".
Oh no. Mariano no. La faccia di Arianna era la solita maschera di pietra mentre portava la tragica notizia.
"Cazzo!" esclamò René, i baffi vibranti, gli occhialetti annebbiati dal sudore di quel terribile lunedì di lavorazione. Duccio era dato per disperso da due ore, Lopez gli stava col fiato sul collo peggio di un branco di levrieri dietro al culo di una volpe, Biascica non faceva che domandargli se poteva andare gentilmente a casa, ché il pupo aveva la colite. 
"Ti prego Arianna pensaci tu, è una giornata allucinante, dai che a te ti ascolta, eh? Fammi questo piacere"
"Non guarda René, non se ne parla, l'ultima volta mi ha attaccato un pippone di dieci ore sull'arcangelo Gabriele e ho dovuto lasciargli in ostaggio lo schiavo, e poi lo sai che casino ha tirato su col sindacato" dura, categorica come un blocco di granito, neanche lo guardava in faccia per paura di farsi convincere. Non c'era scampo. 
 
*** 
"René, io il Conte non lo faccio più"
Eccoci. Sguardo a palla da maniaco sessuale in crisi psicotica inoltrata, rigidità degli arti da paresi, Mariano Giusti in tutta la sua gloria. René ancora si svegliava di notte tutto sudato ripensando alle urla, le fiamme, gli assicuratori. 
Un giorno o l'altro avrebbe piazzato una bomba carta nel culo di Sergio.
"Ma come non lo fai più, Mariano... il Conte è un personaggio bellissimo, cardinale, un protagonista tra i protagonisti! Come facciamo senza di te? Dai su"
Mariano scosse la testa, un sorrisino estatico sul volto che faceva presagire molto dolore.
"No René, no, tu sei un uomo intelligente e anche molto saggio. No, devi farmi parlare. Sei molto saggio. Hai una saggezza negli occhi che mi rammenta della luce del Signore. Tu ami Gesù, René?"
Oddio, eccolo che partiva. René fu lestissimo nel comporre un'espressione di sconcertata approvazione.
"Ma sì, sììì, certo! Se amo... come si fa a non amarlo. Ma Mariano, tu mi devi aiutare, dobbiamo iniziare a girare, qui se no va tutto in vacca, se non posso contare su di te, andiamo!"
"Ho realizzato una cosa, René. Tu sai che sono andato in pellegrinaggio al ponte di Ariccia, il mese scorso" René si trattenne a malapena dallo scoppiare a piangere. Invece fece un respiro profondo e si sforzò di tirare fuori un bel sorriso. Somigliava a uno spasmo muscolare, ma tanto Mariano neanche lo vedeva, preso com'era dalle sue reminiscenze mistiche.
"No, non lo sapevo."
"Male, sono anche finito sul Giornale, dovresti tenerti più informato. Mentre ero ad Ariccia, nudo, sì, René, nudo, nudo per accogliere la grazia divina così come il Signore mi ha messo al mondo, perché quando sei nudo lui ti vede per quello che sei, tutto lo schifo, capisci, tutta la merda, la schifezza, l'obbrobrio, l'orrore" aveva iniziato a scandire le parole battendo ripetutamente con una grossa mazza da baseball il già ampiamente martoriato tavolino di fronte a lui.
René sobbalzò penosamente a ogni colpo, ma si trattenne dal commentare. Quelli erano cazzi di Sergio, anzi, se li meritava pure, lo stronzo.
Quando Mariano si fu sfogato per bene del tavolino erano rimasti due cerini pietosi e un po' di sputo.
"Che stavo dicendo?" domandò, evidentemente perso.
"Dicevamo che è ora di cominciare a girare, Mariano. Guarda che è una scena bellissima, eh! Commovente..."
"No René, allora vedi che mi devi fare arrabbiare. Io il Conte non lo faccio. Il Conte è il Demonio, René."
Ci mise un paio di secondi a scendere a patti col fatto che quella era la sua realtà, il suo lavoro, il suo lunedì mattina. Fece un sospiro simile a un singhiozzo,
"Dai su, ora non esageriamo, ha fatto cose bruttarelle, ma in realtà è un bravo ragazzo, un compagnone, un buono..."
Mariano scuoteva la testa guardando il cielo. René meditò di dargli fuoco.
"No René, sei così cieco. Non è colpa tua, non conosci Gesù come lo conosco io, non parlate abbastanza. Ma lui me l'ha detto, ad Ariccia. Mi ha detto 'Mariano, il Conte è il Demonio, il Diavolo, il Male assoluto e tu non devi cedere al male, figlio mio.' E io non cedo. Non cedo."
Non cedeva. Il cervello di René lavorava furiosamente in cerca di una via d'uscita. Quel lunedì sarebbe andato a puttane.
Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta del camerino, e la faccia di Alessandro sbucò dalla porta, timorosa ed esitante.
"Ehm, salve... scusate il disturbo. René, Duccio ha finito di pensare, dice che siamo pronti quando vuoi."
E te pareva. 
"Ottimo! Alessio, proprio te cercavo, vieni qui, entra. Non avere paura, su, dai, oooh, ecco. Allora, Mariano, qui come vedi siamo preparatissimi, ci teniamo ai tuoi problemi e alle tue rimostranze. Tu sei... sei la luce, il nostro emissario, ci teniamo al fatto che ci mostri la retta via. Alessio qui è venuto apposta a comunicarci le nuove linee narrative di Occhi del Cuore. Giusto?"
Gli occhi di Alessandro esprimevano solo panico. Ma, ormai rodato, annuì con cautela.
"Ssì, come no. Quali linee narrative?"
"Fa il simpatico, lui! Via, il problema del Conte indemoniato che gli sceneggiatori ci hanno risolto ieri."
Andare con la corrente doveva essere diventata una seconda natura per Alessandro, che non distoglieva gli occhi dalla mazza da baseball ancora tra le mani di mariano.
"Ah. Sì, come no... dici l'esorcismo"
René voleva piangere. Ora gli toccava girate il cazzo di esorcismo. Mariano invece appariva improvvisamente interessato.
"E dove viene fatto questo esorcismo?" domandò lentamente, vibrando appena la mazza nell'aria come un bastone da majorette. Alessandro deglutì lentamente, un velo di sudore sulla fronte.
"Beh a... nella... nella cappella di Villa Orchidea?" domandò, già accartocciato nelle spalle per difendersi dalla mazzata.
Dopo qualche momento di lungo silenzio, Mariano sorrise. Era terrificante.
"Bravi. Bello, bellissimo. René, questa è una cosa bellissima. Io lo sapevo che tu mi capivi, che eri come me, René. Fatti dare un bacio."
René scattò in piedi come una molla e si gettò verso la porta.
"Splendido! Allora vado a preparare il set per la scena, eh. Mi raccomando, Mariano, che ti voglio bello carico. Dai dai dai!"
E volò fuori, bestemmiando sottovoce qualunque santo gli venisse prima in mente, e che era certo gli avessero mandato Mariano.
Alessandro fece per seguirlo velocissimo, quando si trovò davanti una mazza di legno.
"Dove vai?" disse Mariano, la voce dolcissima "dobbiamo pregare".
"Ah... sì, certo" rispose lui, lanciando uno sguardo disperato alla porta che si chiudeva lentamente "per cosa preghiamo?"
"Stai dritto e parla forte, che se no Gesù non ti sente" rispose Mariano, già genuflesso "preghiamo per l'anima del Conte".
 
*** 
Dal camerino di Mariano provenivano delle strane grida, ma nessuno aveva la minima intenzione di avvicinarsi. René, già dentro, faceva sbrigativi preparativi per trasformare una sala d'aspetto in una cappella.
"Oi, quindi tutto a posto con Mariano?" domandò Arianna, arrivando trafelata.
"Ma che cazzo ne so" rispose René, stizzito "Tu intanto procurati un crocifisso. E un'acquasantiera. Fai due. E vai a cercare Duccio, che se no quello se ne torna a pensare"
Era un lunedì disgraziato, e lui si faceva in quattro per girare quella serie di merda. Ma, se un Dio veramente esisteva e lo stava guardando, quella era la volta buona che Mariano finiva affogato. E tanti cari saluti al Conte indemoniato.
 
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Erano secoli fa che il mare frangeva gli scogli spinosi e ritorti in una cittadina lontana. Le case si arrampicavano lungo i faraglioni, che emergevano dall'acqua simili ai denti spezzati di un gigante. Le rive erano squassate dal riverbero dell'acqua, in un rombo sonoro che inghiottiva le grida dei marinai e lo stridio dei gabbiani.
Il mondo, visto da quell'isola dispersa in un oceano immenso, sembrava enorme, sconfinato, abbastanza da inghiottire una piccola figura accovacciata nella coltre di tenebre, avvinghiata alle acque nere, nere come il nulla, come il buio dietro agli occhi, fredde come un mare di solitudine.
Nessuno avrebbe udito il suo segreto, sussurrato contro un velo d'acqua, sospirato come un bacio a quel gigante che lambiva il mondo.
Nessuno avrebbe pensato che quel terribile orco, quella madre crudele, quello specchio insondabile e pieno di misteri avrebbe accolto ogni parola, bevuto del suo dolore. Che l'oceano avrebbe ascoltato, nessuno poteva crederlo.
L'oceano aveva bevuto le sue lacrime, e ora parlava ai suoi occhi.
Le parlò del fondo del mare, che era lontano e gelido, terrificante e solitario, splendido come un castello, scintillante come una gemma segreta.
Le prese la mente, poi il cuore e poi le gambe, le prese tutto, fino alle lacrime, fino al suo male.
La portò con sé nel suo ventre possente, la chiamò sua figlia e sua moglie, il suo Amore.

 

***

Era buio quando Dono aprì gli occhi. Il vento dall’odore salmastro soffiava forte dal mare, fin dentro la sua piccola casa di pietra. Contava il tempo sussurrando parole antiche, lo chiamava verso l’alba più lunga.

Il cielo era come pece, la luna simile a un occhio rotondo e limpido che tingeva ogni angolo d’argento.

Dono si alzò in un fruscìo, e spese qualche istante a guardare il mare. Era stranamente calmo, quella notte, una pericolosa macchia nera che si estendeva nell’orizzonte, e lo faceva sentire osservato, giudicato.

Tu sei mio, sembrava dire, con quella sua voce dura, ricca di contrasti, sei mio perché ti ho creato, mio.

Un passo per volta, misurato, si mosse oltre la porta. Fuori dal piccolo faro di pietra che chiamava casa erano accatastati i suoi doni. Frutta, pesce essiccato, denso sciroppo di zucchero raccolto in barattoli di vetro grezzo, una tunica di lino ricamato finemente con motivi sottilissimi, come le onde tinte d’argento tinte dalla luna. Come capelli.

Si sfilò senza fretta i vestiti e la indossò. Era leggerissima, quasi impalpabile, degna delle centinaia di ore di lavoro impiegate a tesserla in quei lunghi mesi invernali. L’avrebbe accompagnato nelle danze sfrenate in quell’alba che premeva contro l’orizzonte, a malapena trattenuta dalla magia della notte.

Dedicò un ultimo sguardo alla sua casa, immobile e pacifica, rassicurante. La terra sotto i suoi piedi era sempre tiepida come un corpo, gentile come un bacio.

Tu sei mio, mormoravano le foglie degli alberi, il frusciare degli steli d’erba, sei mio perché mi sei stato donato, mio.

Prese la grande torcia deposta con cura sopra alla pila di doni e si prese un momento per osservare, un grande scrigno scintillante appena socchiuso, prima di accenderla e rompere l’oscurità con il suo fuoco crepitante. Poi si lasciò la sua casa alle spalle e iniziò il suo lento cammino verso la spiaggia.

 

Sulla lunga distesa di sabbia scura, incastrata tra le alte rocce, era già radunata una piccola folla. Mormoravano tra di loro, agitati, eccitati, i piedi ben distanti dalle onde che si aggrovigliavano inquiete, arrancavano sulla riva. La terra sembrava fremere piano, produceva una nota sorda, una musica e un lamento, un richiamo e un addio che forse solo Dono poteva sentire.

Si prese un momento per scrutare, mentre era ancora lontano, il gruppo eterogeneo di donne e uomini, anziani e giovanissimi, assiepati attorno alla pira ancora spenta, preparata con attenzione, in attesa.

Quando lo videro arrivare l’eccitazione si fece palpabile, i loro occhi lo scrutavano famelici, impauriti, reverenti. Osservavano la creatura senza tempo e senz’anima, il guardiano distante che scandiva il loro tempo tra i mondi.

Nessuno emetteva un fiato, il silenzio carico d’attesa lo accompagnò fino alla pira. Ora non soffiava un alito di vento. Il mare era immobile, le onde sembravano ritrarsi, la terra stessa tratteneva il respiro.

“Benvenuti nell’ultima notte d’inverno” annunciò, con la sua voce calma, un po’ roca, le prime parole pronunciate in molti mesi che gli raschiavano la gola. Poi, senza attendere oltre, lanciò la torcia nella pila di legno in attesa, che sembrò accoglierla con un grido, divorarla con un sussulto.

Il fuoco divampò immediatamente, come se non potesse più aspettare. Le fiamme ruggirono nella notte, e iniziarono la loro danza. Il vento iniziò ad agitarsi, spazzando la sabbia in un turbine agitato, la luce della luna sembrava incresparsi, le onde si innalzarono sul mare, torcendosi e assumendo forme impossibili, feroci.

Mentre la folla gridava e sospirava, dall’acqua iniziarono ad emergere delle figure. Non erano uomini né donne, Cavalcavano correnti violente e imbizzarrite come cavalieri splendenti, la loro pelle riluceva come l’acqua, capelli scuri sferzavano i loro volti splendidi e inumani.

Come in un sogno quegli esseri arrivarono sul pelo dell’acqua, le loro gambe incerte, come se non sapessero come usarle.

Tutti loro erano il silenzio, non sembravano neanche respirare, e guardavano Dono con occhi spalancati, scuri come le profondità del mare.

Dono si avvicinò all’acqua, un suono martellante come di tamburi che riempiva il suo petto, un rombo lontano che lo spingeva verso il suo compito.

Allungò le mani verso i nuovi venuti, accogliendoli sulla terra.

“Benvenuti nella prima alba d’estate” annunciò. Sentiva i suoi occhi bruciare e la sua pelle incresparsi, un sentimento selvaggio ed estatico che prendeva possesso del suo corpo, i suoi muscoli tesi e frementi, in attesa.

Alle sue parole, con un sussulto, il mare lasciò andare i suoi figli. Le creature fecero risuonare grida di gioia, e con i loro piedi malfermi cominciarono a correre sul lido battuto dalle onde. A quel segnale, anche le persone accanto al fuoco iniziarono ad esultare, e corsero ad abbracciare i nuovi venuti. Il battere dei loro piedi sulla terra creava una musica, un ritmo tribale che squassava l’animo di Dono.
La danza era iniziata.

Il suo corpo iniziò a muoversi, sentendo ciò che nessun altro poteva sentire. Il mare, il vento, la terra, il fuoco, le onde che si infrangevano sugli scogli, le foglie che tremavano sugli alberi, la sabbia che si torceva sotto i suoi piedi.

Era nulla, era una creatura nata per quella danza, per celebrare quella lunga notte.

Attorno a lui sentiva voci, bambini che vociavano, pianti e risate, grida e sussurri innamorati. Sentiva la sua pelle incresparsi e mutare al suono delle onde, dita che lo toccavano, labbra che baciavano le sue mani, ma non vedeva. I suoi occhi erano nelle profondità marine, nelle lucenti caverne sotterranee, il suo cuore era leggero come la spuma delle onde, il suo animo bruciava come lava.

Quella lunga notte era scandita dalla sua danza frenetica, dal battere dei suoi piedi sulla riva. Finché non si fosse fermato le madri avrebbero abbracciato i figli, salutato i compagni, fratelli e sorelle si sarebbero trovati. E il suo corpo si increspava e mutava, era tutti loro e nessuno di loro, un essere, una creatura, un dono, un guardiano, un sacerdote, uno spirito.

L’alba sarebbe stata la fine, e quindi avrebbe danzato finché la luna fosse riuscita a tenere insieme lo scrigno del buio, finché il sole non si fosse forzato in quella realtà sospesa, finché il fuoco fosse bruciato.

 

***

 

Riposava sulla terra scaldata dal sole, la sabbia gli faceva da coperta. Sentiva le onde carezzargli dolcemente i piedi, quel primo giorno d’estate. I suoi occhi non si erano ancora chiusi.

“Molti sono venuti per la loro ultima notte d’inverno” disse una voce poco lontana. Aveva il suono di un’onda gentile, il rombo di un temporale.

“Molti se ne sono andati per la loro ultima estate” rispose, senza guardare il suo interlocutore. Una risata leggera fece eco alle sue parole. Non era una risata calda, aveva un sapore salato come acqua di mare.

“Hai già traghettato le nuove anime nel regno delle profondità” constatò, scegliendo con cura il suono delle sue parole. Quella creatura era capricciosa e stravagante, lontana dalle miserie e i sentimenti umani. Forse persino più di lui.

“È il mio unico compito. Davvero noioso. Non tutti siamo così fortunati da poter ballare fino a non poter star dritti”

Quelle parole erano decisamente più vicine. Dono si mise faticosamente a sedere, puntellando i gomiti sulla sabbia.

Sdraiata tra le onde della riva, col corpo che luceva come una perla nella luce del mattino, c’era una creatura degli abissi. Guardarla negli occhi era come cercare lo sguardo di una corrente, aveva un sorriso enigmatico che sembrava dipinto su un volto senza tempo.

“Non dovresti essere qui, Amore”

“Non dovresti chiamarmi così” rispose lei, sorniona, protendendosi verso di lui “o lo farai arrabbiare. Non con quella tua voce tenera e dolce, piena di promesse…”

“Nessuna promessa” Dono era stanco, senza forze, risponderle stava diventando difficile “Tu sei figlia e signora del Mare, e uso il nome che lui ti ha dato”

“Lui ha scelto anche il tuo nome” la voce di Amore adesso era testa, bramosa, e i suoi occhi enormi lo guardavano fisso “ti ha creato dal nulla, tu prima eri nulla, eri parte di lui, non dimenticare.”

Il vento aveva preso a soffiare. Dono sentiva le nuvole addensarsi sopra di loro, e il mare ricominciava ad agitarsi, chiamando la sua sposa, cercando la sua sirena.

“Mi ha chiamato Dono per donarmi alla Terra. Ora sono suo.” Le disse, con voce ferma, misurata, mentre le onde si alzavano dietro di lei.

“Tu sei mio!” gridò Amore, con una voce vibrante e melodiosa, carica di desiderio “Nato per il mio capriccio, il mio compagno lontano, il mio fratello perduto. Mio!”

I cavalloni si alzavano, urlando, chiamando la loro signora, tirando le briglie che la trascinavano indietro. Lei non si oppose, lasciandosi scivolare nell’acqua, i suoi occhi fissi su di lui, enormi, predatori.

Dono la guardò sparire tra le onde, sapendo che diceva la verità.  

Alcune persone si erano avvicinate alla spiaggia, esitanti. Aspettarono che il mare si fosse calmato, prima di muoversi svelte verso Dono, trascinando dietro di loro una piccola barca di legno molto usurata.

“Non possiamo attendere ancora” disse una donna dall’aria stanca quasi quanto la sua. Dono la guardò negli occhi, riconoscendo la bella creatura emersa per prima dalle onde, la notte prima.

“Certo che no” rispose, tirandosi a piedi a fatica. Uno degli altri lo aiutò a sostenersi, e lo supportò mentre si stendeva nella piccola imbarcazione.

Lo trascinarono velocemente lungo la spiaggia, lanciando occhiate sgomente al mare agitato.

“Non preoccupatevi di lui” sussurrò Dono, fiaccamente, facendoli sussultare “portatemi dalla mia signora”

In pochi minuti arrivarono davanti alla grande pira del giorno prima, davanti alla quale ora era stata scavata una buca profonda, il fondo cosparso di uno spesso strato di cenere ormai fredda. Aiutarono Dono a scendere dalla barca, poi, con molta attenzione, lo fecero scendere dentro la buca.

Sul fondo, in mezzo alla cenere, poteva sentire la terra pulsare, come il battito di un cuore, come un richiamo disperato.

“Sono qui” sussurrò, carezzandola piano “tuo figlio, il tuo compenso, il tuo dono”

Sentì il primo cumulo di sabbia e terra piovergli sulle spalle. I suoi respiri si fecero più veloci, sentiva il cuore stretto da una morsa, ma chiudendo gli occhi sentiva le dita gentili della terra che lo stringevano piano, con delicatezza, con amore. Tra poco ne sarebbe stato ricoperto, e un nuovo ciclo sarebbe iniziato. Una nuova estate fiorita, nuovi figli della terra nati e vissuti protetti dal suo calore.

Mentre la terra lo ricopriva, chiuse gli occhi. Il mare rombava e schiumava, terribile e violento, sempre più lontano.

Tu sei mio.

 E sapeva che era vero.

 

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L'estate in California aveva il sapore del melone. Il succo colava sul mento e sulle mani di Bella, zuccheroso e fresco, mentre il sole picchiava sulla sua testa, tingendo l'aria di una febbre dorata e i suoi ricordi di nostalgia.
Sua madre prendeva il sole di fianco a lei, un cappello di paglia a ombreggiarle il viso, un sorriso pacifico sul volto abbronzato.
O forse sguazzava nella piscina, appesa a una grossa ciambella glassata di cloro, con l'mp3 in precario equilibrio, la musica ad un volume così alto che le note arrivavano fino a lei, seduta sul bordo, con i piedi a mollo nell'acqua tiepida.
Dava alla frutta piccoli morsi accurati, e sua madre rideva.
"Il mio piccolo anziano" la chiamava, e Bella la schizzava, scatenando una pioggia di gridolini, piccole gocce che cadevano nella sua memoria, grandi anelli concentrici che si espandevano, increspavano l'acqua, un velo che rendeva tutto lontano...

Bella non poteva piangere, era raggelata, morta. Un fuoco letale la bruciava, consumando tutto ciò che era stata, rendendo la sua pelle eterna, il suo cuore duro.
Cancellando dalle sue labbra quel sapore dolce, lasciando al suo posto un metallo scuro, un veleno amaro.

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