Una nuova idea
Feb. 27th, 2021 05:56 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Prologo
Chi sono?
Aprì gli occhi per la prima volta, senza dolore. Era buio tutto intorno, eppure gli sembrava che ogni piccolo angolo della stanza fosse acuto, definito. Era la prima volta che gli sembrava di vedere. Si domandò, assetato, da quanto tempo avesse gli occhi chiusi.
Mosse lo sguardo lungo la stanza, senza analisi, solo beandosi del lieve rumore sordo che gli ronzava tutto attorno, ovattato, statico.
Aprì la bocca, sentendola secca, impastata, e provò a tirare un lungo respiro. Il petto gli si riempì di aria, e gli parve di non aver mai respirato.
C'era un grande vuoto, ovunque, nella sua testa, nelle sue mani, nell'aria attorno a lui. Tutta la stanza era sottovuoto, dispersa, inconsistente, eppure ogni oggetto era così tangibile e reale che gli sembrava di poterne sentire il peso tra le dita.
Non riusciva a muovere niente, ma scoprì con sorpresa che non gli importava. Sentiva che il suo corpo, ogni fibra, ogni strato di epidermide era nudo e all'erta, ma non in modo spiacevole.
La finestra di fianco al suo letto era ben chiusa, e dall'esterno premeva una neve fredda e bianchissima, mentre dall'esterno della stanza, oltre la porta socchiusa, un sottile fascio di luce intermittente suggeriva la presenza di persone che camminavano, frettolose.
Mosse appena la testa di lato, e scoprì con sorpresa che un orecchio era molto più funzionante dell'altro, e coglieva nuovi, inaspettati suoni.
C'era un sommesso ronzio proveniente dal comò poco distante, e seguendo con gli occhi il rumore scoprì un piccolo spioscopio che vibrava pigramente, indisturbato.
Il ticchettio e lo scalpiccio di scarpe poco distanti si sommava a un parlare sommesso, concitato ma non allarmato.
Passò diverse ore in silenzio, immobile, ad ascoltare tutti quei rumori. Sentì il pianto di un bambino, delle indistinte risate femminili, la voce tonante di un'infermiera. Sentì medimagi che impartivano ordini, visitatori che chiedevano informazioni, lamenti e imprecazioni, ringraziamenti e lodi.
Il tramonto tingeva di tinte calde quel suo piccolo, nuovissimo mondo, quando sentì la sua porta che si apriva.
Un paio di piedi stanchi si trascinarono dentro, insieme a un profumo di fiori freschi e uno sbadiglio. Il suo visitatore si guardò attorno lentamente, osservando lo stato della stanza, e poi sistemò i fiori freschi in un vaso con naturalezza.
Lo vide osservare per qualche secondo la grande finestra della camera, prima di tirare fuori la bacchetta e mormorare qualcosa, facendo chiudere le persiane. Dopodiché si voltò verso di lui, e parve diventare di pietra.
"Santo cielo!" esclamò, sorpreso e quasi alterato "lei... lei è vivo!"
Sono vivo.
Era uno strano dato di fatto. Il suo respiro viaggiava secco e lieve tra le labbra screpolate. La sua pelle sottile come carta velina sembrava non riuscire a toccare il morbido copriletto senza dolore. I suoi occhi erano annebbiati e le sue guance umide.
Sono vivo pensò, il suo vero primo pensiero sono vivo, e sono libero.
Ormai il soffitto sopra di lui era una grande macchia sfocata color crema, ma tenne gli occhi bene aperti, mentre l'infermiere correva fuori chiamando a gran voce un medimago.
Severus non scostò gli occhi dal soffitto, e sentì qualcosa di enorme nel petto, qualcosa di pieno, e ricco e soltanto suo.
Sono vivo e sono libero e mai più, mai più chiuderò i miei occhi per qualcuno.
***
Minerva McGranitt
"Beh, Severus, devo dire che non hai una bella cera."
Non sapeva se Minerva stesse cercando di essere divertente, ma la punta del suo naso aguzzo sembrò vibrare mentre lo guardava, seduta al suo capezzale.
Aprì la bocca per rivolgerle una risposta sprezzante, ma nonostante le gran quantità di pozione idratante che gli veniva somministrata più volte al giorno, non riusciva a liberarsi di quella fastidiosa sensazione di arsura.
Si portò una mano alla gola, tastando le bende che gli fasciavano il collo martoriato.
Vide con la coda dell'occhio che Minerva tendeva le spalle, rigida sulla sediolina di legno, e le scoccò un'occhiata sprezzante, che lei ricambiò con austerità.
"Beh, è ora che vada. Tu..." e qui vide il suo naso, di nuovo, vibrare "beh, riguardati."
Severus la salutò con un cenno della testa, osservandola uscire con la schiena ben dritta, a passo deciso.
Aveva lasciato dietro di lei una copia della gazzetta del Profeta. In una delle pagine centrali, un trafiletto a due colonne titolava "Ex preside di Hogwarts riprende conoscenza dal coma magico" e proseguiva con un molto incoraggiante "Severus Piton, Mangiamorte o sant'uomo?"
Era interessante - pensò, riponendo il giornale e facendo vagare lo sguardo verso la finestra, da cui entrava un sole pallido e malaticcio - quante possibilità si aprissero, quando non si aveva la possibilità di parlare.
***
Horace Lumacorno
Sedeva, pasciuto e imbarazzato, sulla sediolina troppo piccola per contenere la sua mole. Sembrava stranamente sguarnito, senza i suoi confortevoli fronzoli, i suoi ninnoli preziosi, le sue foto autografate.
Sembrava un grosso, piccolo vecchio mago. Lo guardò a lungo in faccia, e Horace parve ancora più a disagio di prima, dimenandosi su sé stesso ed evitando il suo sguardo.
Dopo un po' sembrò arrivare a capire che sarebbe toccato a lui, eventualmente, rompere il silenzio, e tossicchiò brevemente.
"E così, ecco, penso saprai che sono il nuovo direttore di Serpeverde, ehm".
Piton non lo sapeva, e francamente non rientrava proprio nella lista delle sue priorità, quindi si limitò ad alzare le sopracciglia.
"Sai, vista la situazione... spero che non ci sia nessun rancore?" Lo Sguardo di Horace era spalancato, sulle spine, ed ecco che qualcosa di nuovo emerse dalla sua mente.
Rancore
Era sempre sembrato così importante, eppure in quel momento, guardando quell'ometto baffuto e impomatato e avvolto di velluto a coste, non gli sembrò di avere spazio per niente del genere. Ad essere sincero, si sentiva così vuoto che, paradossalmente, non aveva neanche un po' di spazio a disposizione.
Horasce continuava a guardarlo, apprensivo, anziano, disonesto, e gli venne quasi voglia di provare qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato.
Invece si limitò a scuotere la testa.
Sperò che se ne andasse presto.
***
Harry Potter
Aveva davvero gli occhi di sua madre.
***
Remus Lupin
Fu il primo a bussare alla sua porta. Erano entrate molte persone, ma, fino a quel momento, lui era stato l'unico a bussare. Perfettamente inutile, visto che non poteva dargli il permesso di entrare, ma sembrò pensare anche a questo, quando fece capolino nella stanza, cercandolo con gli occhi.
Sembrava cauto e imbarazzato. Severus non riusciva a ricordare il loro ultimo incontro.
"E' permesso?"
La sua voce timida gli causò uno strano rigurgito nel petto, e abbassò d'istinto lo sguardo, come aspettandosi di trovare qualcosa sanguinare. Sentendosi colto in fallo per quell'azione, rivolse a Lupin uno sguardo torvo, che fu ricambiato da un mezzo sorriso di circostanza.
"Non sono qui per disturbarti, Severus" disse Lupin, sempre con quel tono sommesso "ho solo pensato che potessi rivolere questa"
Detto ciò, estrasse da una tasca del lungo cappotto una bacchetta.
Severus la guardò per qualche istante, con una strana sensazione.
Era come se stesse cercando di usare dei muscoli atrofizzati, ma che piano piano tornavano in sesto, tesi, fragili, dolorosi.
E improvvisamente, inaspettatamente, come se stesse aspettando quel piccolo segnale, qualcosa di grande, enorme, sporco e nero, aggrovigliato e distorto, pesante e acuminato, lo prese per la nuca e lo costrinse a tenere ben fermo lo sguardo.
Ecco, pensò, annichilito, ecco dov'era.
Ecco dov'eri. Pensavo di averti dimenticato. Pensavo senza pensarti per lasciarti indietro, lontano, in un'altra vita. Pensavo che la morte ti avesse seminato.
E invece eccoti di nuovo.
Chi sono?
Eccoti, mostro. Eccoti, uomo nullo, burattino cieco, spia, assassino, traditore, codardo. Pensavo di averti perso.
Sono sempre stato qui
Pensavo di averti lasciato.
Non puoi lasciarmi
Pensavo di averti distrutto.
Non puoi distruggermi
Pensavo...
Pensavamo
Chi sono io?
Non si sentì urlare. Come poteva? C'era così tanto rumore dentro di sé, e ora non sentiva più niente. C'era così tanto rumore intorno a lui, così tanta luce.
E poi di nuovo il buio.
Era vivo, ma la libertà è qualcosa che va guadagnato. E lui, nella sua vita, non aveva mai guadagnato niente.